Pizzo, racket, estorsione: in qualsiasi modo venga definito, l’atto di estorcere più o meno laute somme di denaro sotto la pressione insita in minacce, fisiche e verbali, è un atto violento, inaccettabile, mai giustificato o giustificabile.
Nell’hinterland vesuviano per mesi si è consumata una vicenda in cui le estorsioni hanno assunto un ruolo dominate, per effetto delle “gesta” che Carlo Sepe infliggeva al titolare di un bar di Piazzolla di Nola: ogni volta chiedeva piccole somme di denaro, una forma di estorsione continua e fastidiosa, sopportata a malapena. L’altro giorno, però, il diciannovenne di San Gennaro Vesuviano ha alzato il tiro, ha chiesto il «pizzo di Natale»: 500 euro.
Nonostante l’aggressione al commerciante, il giovane è finito comunque in manette e tuttora si trova a Poggioreale, arrestato dai carabinieri con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Il fatto è avvenuto qualche giorno fa: Sepe, che pur essendo giovanissimo è già noto alle forze dell’ordine, si è presentato nel bar dove spesso si recava a chiedere soldi ed ha avanzato l’ennesima richiesta. Il titolare del locale, però, si è rifiutato di consegnargli i 500 euro, ha reagito a muso duro e lo ha invitato ad andarsene. Il 19enne è andato su tutte le furie, ha aggredito l’uomo ed ha cominciato a picchiarlo al punto che il commerciante è scappato via, spaventato dalla rabbia dell’estorsore. Nel fuggire dal suo stesso locale, ha sbattuto la porta dell’ingresso e provocato la rottura del vetro: le schegge sono volate via e si sono conficcate nell’avambraccio di Carlo Sepe, che stava provando ad inseguirlo. Il malvivente, rimasto solo, pur sanguinante ha comunque provveduto a svuotare il registratore di cassa del bar, dove c’erano 300 euro, l’incasso della giornata. Dopo essersi accaparrato il denaro, è andato nella clinica Trusso di Ottaviano a farsi medicare l’avambraccio, ferito dal vetro della porta del bar. Nella struttura ospedaliera non ha fornito le sue vere generalità ma, pochi minuti dopo il ricovero, è stato subito raggiunto e ammanettato dai carabinieri della compagnia di Nola, diretti dal maggiore Michele Capurso.
I militari, infatti, arrivati nel bar di Piazzolla dopo essere stati avvertiti dal titolare, erano già risaliti all’identità dell’estorsore. Nel locale avevano trovato tracce di sangue e due coltelli, le armi usate da Sepe per farsi consegnare il denaro ed effettuare l’aggressione. Dopo la descrizione del titolare dell’esercizio commerciale non ci hanno messo molto a capire che dovevano cercare il 19enne di San Gennaro Vesuviano e quando è arrivata la segnalazione dall’ospedale sono andati a colpo sicuro, facendo scattare le manette ai polsi dell’uomo.
Il giovane di San Gennaro Vesuviano non risulta affiliato ad alcun clan né, durante le sue richieste estorsive, ha mai fatto riferimento a cosche camorristiche per ottenere maggiore credito da parte delle vittime. Tuttavia utilizzava metodi propri della criminalità organizzata, chiedendo soldi in continuazione e non esitando ad usare armi per cercare di ottenerli. Sia suo padre che suo nonno hanno avuto in passato guai con la giustizia, subendo anche condanne: proprio l’appartenenza ad una famiglia nota alle forze dell’ordine e alla magistratura lo ha indotto, probabilmente, a comportarsi come un boss, non esitando a visitare gli esercizi commerciali per farsi dare denaro.
Il «pizzo di Natale», però, gli è costato caro: il commerciante di Piazzolla si è rifiutato di dargli 500 euro, ha protestato e si è preso pure schiaffi e pugni. Ma la sua risolutezza a non pagare è servita comunque ai carabinieri a mettere fine all’attività criminale del giovane.