Il 4 aprile del 1991, a Napoli fu convocato un vertice in Prefettura, voluto dal ministro Scotti per discutere dell’emergenza criminalità, in virtù dell’episodio avvenuto in un quartiere della periferia partenopea: Ponticelli.
Nel rione «De Gasperi», roccaforte del clan Sarno, una pattuglia di carabinieri veniva aggredita e malmenata da una quarantina di persone per impedire l’arresto di due persone armate.
La cittadinanza facinorosa ebbe la meglio sulle forze dell’ordine. La pattuglia dei Carabinieri, in servizio di prevenzione nel quartiere, aveva notato alcuni individui, dall’atteggiamento sospetto, accanto ad una «Alfa 90». Li bloccano, li identificano e li perquisiscono.
Due dei tre uomini erano armati. Ma appena gli uomini in divisa hanno cercato di trarli in arresto, una gruppo di circa quaranta di persone, radunatasi in un attimo, li ha aggrediti. Nonostante la superiorità numerica degli aggressori e le percosse – un brigadiere fu giudicato guaribile in 15 giorni – la pattuglia è riuscita a dare l’allarme. All’arrivo dei rinforzi, la folla si è dispersa.
Così le forze dell’ordine sono riuscite ad ammanettare Giuseppe Sarno, di 36 anni, l’unico componente del terzetto non in possesso di armi.
I due individui armati, Luigi Sodano di 40 anni, e Giovanni De Falco di 25, invece, riuscirono a sfuggire all’arresto.
Il rione De Gasperi, come detto, era il bunker del clan Samo e il fermato, Giuseppe Sarno, è il cugino di Ciro Sarno, il boss della Banda, soprannominato “o sindaco” in virtù del ruolo ricoperto in chiave assegnazione degli alloggi nello stesso rione.
Il 14 marzo di quello stesso anno, ancora una volta nel Rione De Gasperi, un’altra pattuglia della polizia era stata aggredita da un centinaio di persone che volevano evitare l’arresto di uno spacciatore di droga di 15 anni. Quattro agenti (fra cui due poliziotte) rimasero lievemente feriti e contusi nell’episodio. Le pattuglie che accorsero di rinforzo, per «liberare» gli agenti, dovettero anche sparare alcuni colpi di pistola in aria. Il ragazzo fermato era uno dei tanti «manovali» del clan Sarno.
Due episodi eclatanti che sintetizzano la forza di un clan che per oltre un trentennio ha tenuto sotto scacco l’intero hinterland napoletano. Un’egemonia fondata sul consenso e l’omertà, il rispetto di regole semplici ed essenziali che portavano quieto vivere e benefici a tutti gli abitanti del rione che tutt’oggi affermano “si stava meglio quando c’erano i Sarno.”
Un rione completamente in balia della camorra, dove le forze dell’ordine faticavano notevolmente a fare la loro parte e a rivendicare la presenza dello Stato.
A distanza di più di 25 anni, quello che resta di quell’”Impero del male” è una carcassa letteralmente divorata dagli “sciacalli”.
La cattiva politica, l’abusivismo in tutte le sue più fantasiose ed improbabili forme, la povertà, l’isolamento, il degrado che ha fatto a cazzotti con lo sfascio, materiale ed emotivo, subentrato in seguito al declino del clan, quando i boss e le figure cruciali del sodalizio criminale hanno deciso di collaborare con la giustizia.
L’ultimo “colpo al cuore” inferto a quello che un tempo fu il clan più potente della periferia orientale, giunse nel marzo del 2016, quando, nel cuore della notte, Giovanni Sarno, il fratello disabile dei boss, venne giustiziato proprio lì, nel letto del basso in cui “sopravviveva” nel Rione De Gasperi.
Uno sgarro impensabile negli anni ’90, quando perfino per alle forze dell’ordine era ostruito il libero accesso tra i palazzoni simbolo del potere del clan Sarno.