Un quartiere militarizzato dal clan De Micco: questo è quanto comprova l’arsenale individuato e sequestrato dai carabinieri del nucleo investigativo di Napoli e della compagnia di Poggioreale, a Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli.
Un kalashnikov, una mitraglietta Uzi, un fucile a canne mozze, due pistole semiautomatiche e cartucce di vario calibro: questo è quanto rinvenuto dai carabinieri in un armadio della stanza da letto dell’abitazione di Antonio Cavaliere, 55 anni, ritenuto affiliato al clan De Micco.
Oltre alle armi sono stati trovati anche un giubbotto antiproiettile, un passamontagna, berretti e guanti di lattice. Cavaliere, secondo gli investigatori, custodiva le armi per conto di Rocco Capasso, 44enne figura di spicco del clan che è stato rintracciato e arrestato.
Le armi sono state già inviate ai reparti investigazioni scientifiche per le analisi balistiche. I due arrestati, invece, sono stati condotti nel carcere napoletano di Secondigliano.
A Ponticelli, oggi, dopo aver sopraffatto i rivali del clan D’Amico e De Luca Bossa, comandano i “Bodo”, questo il soprannome delle giovani reclute del clan che deriva dal nomignolo del fondatore del sodalizio criminale nato sulla scia del declino del clan Sarno, dapprima come costola dei Cuccaro di Barra per poi intraprendere una rapida ascesa al potere camorrista dopo l’arresto di Adinolfi e l’inizio della latitanza di Angelo Cuccaro: Marco De Micco, giovanissimo e impavido, osannato, rispettato e venerato da tantissimi ragazzi, affiliati e non, tanto che quel soprannome, contornato da pistole, l’hanno tatuato sulla pelle.
Trasferito in un carcere di massima sicurezza nel febbraio del 2016, il 33enne è stato ritenuto troppo pericoloso per scontare una pena da “detenuto comune”. Cambia, così, per lui il regime di reclusione, con l’applicazione del 41bis, il regime più severo dell’ordinamento penitenziario, che eleva al massimo le restrizioni e i controlli e riduce al minimo i contatti del detenuto con l’ambiente interno ed esterno al carcere. In carcere dal maggio 2013, Marco De Micco fu arrestato in un ristorante in provincia di Napoli, nel bel mezzo di un ricevimento di nozze, al quale partecipava tra gli invitati, sfoggiando un look da boss e un Rolex da oltre 30mila di euro.
Per gli 007 dell’Antimafia, Marco De Micco era un vero boss, al comando di tutto: strategie, affari illeciti, azioni violente. Il capo indiscusso del sodalizio: questo il ritratto che di lui emerge nelle varie inchieste che l’Antimafia ha condotto sui “Bodo” di Ponticelli. Marco De Micco la “fama” del boss da idolatrare, rispettare e venerare l’ha costruita e conquistata, trasformando i giovani che lo affiancavano in un vero e proprio esercito di camorra e, al contempo, conquistando il controllo di zone cruciali del quartiere ed estendendo progressivamente le mire espansionistiche del clan, fino a conseguire il controllo dell’intera Ponticelli, oggigiorno.
Nonostante gli arresti di lusso, quello di Marco De Micco in primis, il clan, infatti, continua a contare su un elevato numero di gregari, oltre che a disporre di un considerevole quantitativo di armi, come inferma il sequestro dell’arsenale rinvenuto durante la giornata di oggi, martedì 6 giugno.
I “Bodo” erano il vero incubo di Annunziata D’Amico, detta “la Passillona”, donna-boss del clan fondato dai fratelli Antonio, detto “fraulella”, e Giuseppe, ai quali subentrò ai vertici dell’organizzazione, quando furono tratti in arresto, continuando a curare gli “affari di famiglia”.
In un’intercettazione è proprio un gregario del clan a spiegare alla passillona che “non si può morire per mano di due ragazzi di 18 anni” riferendosi alle irruzione delle sentinelle dei De Micco nel Rione Conocal, bunker del clan D’Amico.
“Ci stanno i Bodo, ora sono passati, perché i Bodo sono venuti qua, hanno mandato l’ambasciata. Levatemi il rione da mezzo. Una cosa con voi, voi il lato di sopra e noi il lato di giù. Ero davanti a mio marito e dissi: “‘o Bodo nella casa mia non mette nessuna legge”, la vera legge la metto io nella casa mia, prima la legge mia, nella casa mia non sei nessuno”: è la voce di Annunziata D’Amico a pronunciare queste parole.
Eppure, nulla ha potuto la lady camorra del rione Conocal contro il desiderio di “comandare tutto” dei De Micco: “la passillona” fu giustiziata come un vero boss, nell’ottobre del 2015, mentre era di ritorno da un colloquio in carcere con uno dei suoi sei figli.
L’altro focolaio camorristico che poteva mettere in discussione l’egemonia dei De Micco, stava insorgendo nel Lotto O, quartier generale del clan De Luca Bossa, fondato da Antonio De Luca Bossa, detto “Tonino ‘o sicc’”, dapprima spietato sicario dei Sarno e poi passato al comando del suo cartello criminale. Detenuto in regime di 41 bis, “Tonino ‘o sicc’” lascia in eredità la scena camorristica ponticellese a suo figlio Umberto. Un ragazzo giovane, troppo giovane per reggere il peso delle responsabilità che pendono su un capoclan e che non possiede “la stoffa del boss”.
L’avvento nel Rione del boss dei Barbudos Raffaele Cepparulo, allontanatosi dal Rione Sanità per sfuggire alla furia omicida dei Vastarella, in seguito alla strage delle Fontanelle, stava conferendo nuovo spessore all’attività criminale dei De Luca Bossa. Una velleità ridimensionata dall’agguato messo a segno il 7 giugno del 2017, proprio nel circolo ricreativo di proprietà di Umberto. Vittima dei sicari, il boss dei Barbudos, Raffaele Cepparulo, giustiziato da due killer, giunti nel rione a piedi e con il volto scoperto. Non si esclude che su quell’agguato ci sia proprio la firma dei De Micco e che l’omicidio del leader del sodalizio criminale fondato nel Rione Sanità da giovani tatuati e con le barbe folte, sia stato voluto per inviare “un monito” ai De Luca Bossa.
Qualche settimana dopo, la scarcerazione di alcuni elementi di spicco del clan del Lotto O poteva conferire nuova linfa ai De Luca Bossa. Per questa ragione, nel dicembre del 2016, proprio in quello stesso rione, viene ucciso Salvatore Solla, detto “Tore ‘o sadico”, figura di spicco del clan, scarcerato proprio qualche mese prima. Per ultimare l’opera, però, i De Micco, vogliono la testa di Umberto De Luca Bossa, il figlio di “Tonino ‘o sicco”.
Secondo la testimonianza di una figura di spicco della “vecchia camorra ponticellese”, i De Micco vorrebbero uccidere Umberto per togliere a suo padre l’unica ragione che lo tiene ancora in vita, sicuri che il boss detenuto in regime di 41 bis, arriverebbe così a suicidarsi in carcere, sancendo, di fatto, la fine definitiva dell’era dei De Luca Bossa.
Il 23enne Umberto inizia, così, a vivere da “sorvegliato speciale”, consapevole di essere finito nel temibile mirino dello spietato clan dei Bodo.
Il 12 gennaio 2017, Umberto viene arrestato a Torre Annunziata. Quelle manette, di fatto, gli salvano la vita e sanciscono l’uscita di scena del clan del Lotto O dalla scena camorristica ponticellese.
Da allora, da quando è stato ucciso Solla, non si spara più. Niente stese, né agguati, perché, ormai, i Bodo hanno vinto.
Sono loro che comandano a Ponticelli.
Troppi uomini e troppe armi. Nessuna delle carcasse dei clan locali, ridimensionati dagli arresti e dagli agguati, può contrastare la forza e l’impeto di quel gruppo di fuoco che, silenziosamente, a Ponticelli, oggi, controlla tutto.