Licciardi Vincenzo e Licciardi Antonio, entrambi di Secondigliano e figli dello storico boss Pietro Licciardi, furono condannati per il reato di tentato omicidio aggravato, avvenuto in Napoli il 31 marzo 2013.
Avrebbero cercato di ammazzare il cittadino dominicano Rivas Josè per futili motivi, connessi al ballo conteso con una giovane donna conosciuta casualmente durante una serata in un locale notturno della città di Napoli.
A seguito del divieto opposto dal Rivas all’invito a ballare che Licciardi Antonio aveva rivolto alla donna, poche ore dopo, i due fratelli Licciardi effettuarono una spedizione punitiva, che solo per una fatalità, non si concluse con un plurimo omicidio.
Infatti, il primo colpo fu schivato dal Rivas e colpì all’addome un altro cittadino domenicano Portolatin Cruz Virginio; dopodiché soltanto il blocco accidentale dell’arma, che si inceppò, consentì al Rivas di scampare alla morte.
Nell’immediatezza il Gip presso il Tribunale di Napoli emise ordinanza di custodia cautelare il 2 aprile 2013.
Uno dei due attentatori, Licciardi Vincenzo, si rese anche latitante sino a quando, dopo incessanti ricerche da parte degli inquirenti, il 25 Maggio 2013, fu rintracciato e condotto in carcere.
All’esito del giudizio di primo grado, il 29 novembre 2013, gli imputati furono condannati a dodici anni per il delitto di tentato omicidio aggravato dai futili motivi e per il delitto di detenzione e porto in luogo pubblico di un arma da sparo.
In sede di appello, il 7 luglio 2014, la pena fu poi ridotta per entrambi a 10 anni.
Già nel corso del giudizio di primo grado i due fratelli Licciardi avevano provveduto ad offrire un risarcimento dei danni pari ad euro ventimila mila al Portolatin ed euro 1000 al Rivas.
Ma sia il Giudice di prime cure che la Corte di appello avevano negato la concessione dell’attenuante del risarcimento sulla base di diffuse argomentazioni: non vi era stata alcuna resipiscenza da parte degli imputati; non era possibile stabilire se gli imputati avessero utilizzato denaro proprio per risarcire; le somme non erano state ritenute proporzionate alla gravità del fatto.
La questione fu portata innanzi alla Corte di Cassazione che annullò la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli, relativamente alla concedibilità della attenuante del risarcimento del danno, la quale comporta la riduzione della pena sino ad un terzo di quella inflitta.
Svoltosi il giudizio di rinvio davanti alla sesta sezione della Corte di Appello, presieduta dalla dott.ssa Gallo con a latere i giudici Calaselice e Polizzi, conformemente alla richieste del Procuratore Generale, furono inflitti anni dieci anni di reclusione.
Avverso tale decisione fu proposto per la seconda volta ricorso per cassazione.
Si è così tenuta oggi, lunedì 12 giugno 2017, l’udienza innanzi alla V sezione della Suprema Corte, presieduta dal dott. Palla.
Dopo la relazione tenuta dal dott. Miceli, il Procuratore Generale dott. ssa Loy ha chiesto il rigetto del ricorso.
Invece, hanno prevalso e convinto i Supremi Giudici le argomentazioni giuridiche indicate nel ricorso scritto dalla difesa e di cui si è reso protagonista l’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli, temi illustrati oralmente in udienza dall’ avvocato Saverio Campana del Foro di Nola.
Infatti, la Corte di cassazione ha annullato per la seconda volta la sentenza di condanna stabilendo che dovrà procedersi ad un nuovo giudizio innanzi ad altra e diversa sezione della Corte del distretto.
Tanto significa dire che dovrà straordinariamente svolgersi per la terza volta il giudizio in appello e che la pena di anni 10, già mite rispetto al grave episodio verificatosi, è destinata ad essere ulteriormente ridotta.
Non solo.
Nel frattempo, grazie al doppio annullamento della cassazione, appare altamente probabile la rimessione in libertà dei due fratelli Licciardi per scadenza dei termini di custodia cautelare.