Era un sabato mattina qualunque, ma non per Annunziata D’Amico, sorella di Giuseppe ed Antonio, fondatori del clan dei “fraulella”, madre di sei figli e donna-boss dell’organizzazione da quando i fratelli erano stati arrestati.
Sapeva di essere una “sorvegliata speciale” da parte dei rivali del clan De Micco, e per questo “la passillona” – questo il soprannome della D’Amico – non usciva di casa da diversi mesi, ma, quella mattina, il cuore di mamma ha prevalso.
La passillona decise di andare a Caserta, nell’istituto penitenziario in cui si trova in regime detentivo uno dei suoi figli. Era da tempo che non lo vedeva, era da tempo che non si allontanava dal Rione Conocal di Ponticelli, il bunker del clan dei frauella.
Di ritorno dal carcere, si fermò nella cortina del palazzo che accoglie il suo sfarzoso appartamento in via del flauto magico. Aveva sete e chiese un bicchiere d’acqua alla signora che abita al piano terra: “mi fumo una sigaretta e poi salgo” disse alle persone con le quali si era intrattenuta a chiacchierare e che gli avevano chiesto notizie del figlio.
L’auto a bordo della quale viaggiavano i suoi killer, si materializzò in un lampo: senza avere neanche il tempo di rendersi conto di cosa stesse accadendo, Annunziata fu raggiunta da una pioggia di colpi. Tentò inutilmente di sfuggire alla morte, cercando riparo dietro a delle automobili parcheggiate, ma i killer la raggiunsero e la finirono. Fino alla fine, però, anche difronte alla morte, Annunziata si è comportata da boss: “levati questo coso da faccia – il passamontagna che indossavano i killer – fammi vedere chi sei, fatti vedere in faccia”. Queste le ultime parole che la lady camorra del clan dei fraulella ha rivolto ai suoi aguzzini.
Uccisa come un boss, lei che ragionava e viveva come un boss e che nella testa, nelle azioni, nella mimica e nelle intenzioni, era un boss a tutti gli effetti.
Le intercettazioni che hanno portato ai 94 arresti maturati a giugno del 2016, raccontano in maniera più che esaustiva la donna e il boss che è stata Annunziata D’Amico. Figurava anche il suo nome tra quello delle persone destinate a finire in manette, ma la camorra ha regolato i conti prima della legge. Non poteva sottrarsi alla galera, in ogni caso, data la considerevole mole di prove prodotte contro la donna dalla microspia introdotta proprio in casa sua: i consigli sulle armi da utilizzare alle giovani reclute del clan, oltre a quelli sulla droga da comprare e sulla politica da adottare per incrementare il business della vendita di stupefacenti nel rione che nel momento di massima egemonia contava ben 14 piazze di spaccio a cielo aperto. Le intercettazioni immortalano le parole di Annunziata in relazione a queste e ben altre dinamiche camorristiche: “ora la camorra la facciamo noi, ora comandano le femmine”. Questa frase urlata contro un esponente della malavita locale, ben sintetizza la sfrontatezza e il delirante desiderio di potere che animava le gesta della donna.
Annunziata, infatti, sognava una Ponticelli comandata da una boss in gonnella, in un momento storico in cui i De Micco potevano già contare su un vero e proprio esercito, ben addestrato e militarizzato. Non sopportava le angherie dei rivali: “O Bodo int’ a casa mia nun mett’ nisciuna legge” – “I Bodo, questo il soprannome di Marco De Micco, boss dell’omonimo clan, in casa mia, ovvero, nel Rione Conocal, non impone le sue regole” – la passillona non poteva accettare che tra le mura dell’impero costruito dalla sua famiglia, i rivali del Clan De Micco imponessero il pedaggio del pizzo sui traffici illeciti di cui si occupavano. Le piazze di spaccio, ma anche le imprese di pulizie e gli altri business dai qual il clan ricavava proventi. La donna “fece commercio”, come trapela dalle intercettazione, anche e soprattutto attraverso la vendita delle case di proprietà del comune del rione in cui viveva e in cui “comandava”: case vendute a 10mila o 20mila euro e dalle quali “cacciava” i parenti degli infedeli per lasciare il posto a famiglie più omertose e servili verso il suo clan.
Il desiderio quasi ossessivo di ostentare il suo potere suo e quello del clan della sua famiglia, portava Annunziata a scorrazzare su scooter di grossa cilindrata a velocità sostenuta lungo le strade del rione, del “suo” Conocal, ma anche a mancare di rispetto ai “vecchi” uomini di camorra, quelli al cospetto dei quali, il codice d’onore impone tutt’altra condotta.
Odiata e non vista di buon occhio dai rivali e dagli interpreti della malavita legati a quei principi che Annunziata rinnegava e sbeffeggiava, amata e osannata come una figura divina, di contro, dalle giovani reclute del clan che facevano a gara ad accorrere quando la passillona li chiamava per consegnargli qualche “Imbasciata”. Era ai ragazzini che consegnava i messaggi da inviare a qualche gregario e non mancava di riporgli un’arma tra le mani, affinchè “alla vista del ferro”, quella comunicazione potesse assumere un tono ben più autorevole e minaccioso. Era lei a custodire le armi e a consigliare i ragazzi su quali fosse più opportuno adoperare, in base alle esigenze da ricoprire. E, ancora, per quei ragazzi era motivo di vanto ed orgoglio, poter raccontare di aver svolto delle commissioni per “la passillona”: dall’acquisto della spesa a quello delle sigarette, fino alle pratiche strettamente correlate alla gestione degli interessi del clan.
Tutt’oggi, la pasillona è compianta e ricordata come una madre generosa e benevola, non solo dai suoi tanti figli e nipoti, ma anche da quelli cresciuti nel segno della camorra, da quella figura nella quale quei ragazzi vedevano, per l’appunto, una genitrice e che pendevano letteralmente dalle sue labbra. Quella “mamma-camorra” poteva chiedere qualsiasi cosa a quei ragazzi, sempre pronti ad assecondare ogni sua richiesta e che non avrebbero mai fatto nulla che potesse deludere i suoi ordini ed aspettative.
Sposata con Salvatore Ercolani, detto “Cernobyl”, in seguito alla sua morte, le redini del clan e l’affidamento dei figli, – l’ultimo dei quali aveva poco più di un anno quando la donna venne giustiziata – passò nelle mani delle sorelle e delle cognate, poi arrestate nel maxi-blitz scattato pochi mesi dopo l’omicidio della passillona.
L’omicidio di Annunziata D’amico ha definitivamente stroncato le velleità del clan fondato dalla sua famiglia che, di fatto, dopo quel 10 ottobre 2015, non è riuscito più a rifondarsi e ad imporsi tra le mura del quartiere, limitandosi a concentrare forze, energie e risorse nella gestione delle piazze di spaccio nel rione Conocal, fino a quando non è sopraggiunta la stangata finale inferta proprio da quel maxi-blitz che portò all’arresto di 94 persone, mentre nel marzo del 2015, in un’operazione di analoga portata, furono arrestati 52 gregari del clan dei “fraulella”.
Circa 150 persone rese inoffensive dallo Stato, dozzine di gregari trucidati dal clan rivale, sulle quali primeggia il delitto eccellente di Annunziata D’Amico, al quale sia i fratelli che il figlio reclusi in carcere, reagirono con violenza, distruggendo la cella, imprecando e dimenandosi. Non potevano accettare e concepire che la camorra avesse ucciso una donna, anche se quella donna era un boss a tutti gli effetti.
Un colpo mortale al cuore del clan, quello messo a segno a suon di colpi d’arma da fuoco, quella mattina del 10 ottobre 2015, per uccidere una donna, una mamma, un boss e, soprattutto, una delle figure-simbolo più espressive della camorra al femminile della storia della malavita partenopea.