Reggio Calabria, 12 dicembre 1975 – Giuseppina Utano aveva 3 anni appena, quando rimase vittima nel corso di un agguato a suo padre Sebastiano. Colpita alla testa dai proiettili destinati al padre, guardaspalle del boss di San Giovanni di Sambatello. Nell’agguato rimase gravemente ferita anche la madre della piccola, in avanzato stato di gravidanza. L’intera famiglia era in auto quando fu investita dai colpi esplosi probabilmente da più di un killer.
Giuseppina fu vittima innocente della prima delle due guerre di ‘ndrangheta che hanno insanguinato Reggio Calabria. Una sanguinaria faida che portò alla nascita di una nuova classe dirigente della criminalità organizzata reggina.
La sera in cui è stata uccisa, Giuseppina stava rientrando a casa in auto con i genitori.
Il padre di Giuseppina, Sebastiano Utano, era stato più volte visto insieme a Mico Tripodo, prima di essere arrestato per dei furti avvenuti nel quartiere Santa Caterina. Dopo aver scontato la misura di prevenzione, si era trasferito a Sarzana e lì aveva lavorato come muratore. Da un mese e mezzo era rientrato a Reggio e aiutava saltuariamente il suocero Sebastiano Pangallo.
Quel giorno, la piccola Giuseppina era insieme alla madre Domenica Pangallo, di soli 20 anni e al padre Sebastiano, 25 anni, vittima designata dell’agguato.
Nella mattinata Sebastiano Utano era stato dimesso dall’ospedale in attesa dei risultati di alcune analisi a cui era stato sottoposto perché soffriva di dolori allo stomaco. La figlia e la moglie erano andati a trovarlo prima di mezzogiorno e dopo essere usciti dall’ospedale erano stati a Scilla, ospiti di un amico. La sera stavano rientrando a casa, a Sambatello. A poco più di un chilometro dal centro abitato, all’ingresso della frazione, li attendevano tre killer armati di fucili e pistola, che sbarravano loro la strada con un’auto scura di piccola cilindrata, ferma in mezzo alla carreggiata.
Appena avvistata l’auto degli Utano, i sicari avevano iniziato a sparare, indirizzando i colpi principalmente al conducente, che ritenevano fosse Sebastiano Utano. Al padre di Giuseppina, infatti, era stata ritirata la patente al momento in cui era stato sottoposto a misura di prevenzione, ma aveva continuato comunque a guidare la sua auto, al punto che più volte era incorso in contravvenzioni. I tre avevano concentrato il fuoco sul sedile di guida, non potendo distinguere nell’oscurità che a guidare, invece, fosse la moglie.
Domenica Pangallo, ferita, era riuscita a sfuggire trovando spazio tra l’auto dei killer e il limite destro della carreggiata, mentre i tre continuavano a sparare all’auto in fuga frantumando il lunotto posteriore e centrando in testa la piccola Giuseppina. Malgrado le ferite, la madre aveva avuto la forza di guidare fino all’abitazione di un conoscente che aveva poi accompagnato la famiglia all’ospedale di Reggio. L’auto crivellata di colpi, lasciata incustodita e sparita in un primo momento, è stata successivamente rinvenuta abbandonata, nella vicina frazione di Diminniti. Il padre, interrogato in questura, non ha fornito alcun elemento utile alle indagini, negando di conoscere assassini e movente.
Arrivati in ospedale, la madre, al sesto mese di gravidanza, era stata trasferita e curata al Policlinico di Messina, mentre il padre aveva solo una lieve ferita alla spalla sinistra.
Per Giuseppina Utano, invece, non è stato possibile fare niente: quando è arrivata all’ospedale la bimba era già morta, giustiziata dai killer che avevano sparato per uccidere il padre, senza alcuno scrupolo, sapendo che la moglie e la figlia erano in macchina con lui.