La musica è il vento che ti accarezza il viso, quando, dalla riva, contempli il mare agitato e giochi con gli ultimi sospiri di quei labili brandelli di ira funesta che, avvolti in effervescente schiuma, si dissolvono sulla sabbia, allora indietreggi per non bagnarti i piedi, forse per dare mordente a quelle reminiscenze di precetti, pregni di intimidatorio proibizionismo che i genitori ci impartiscono da bambini, inculcando in noi quel timore reverenziale, conduzione necessaria e sufficiente per tenere i nostri piedini, curiosi ed inconsapevoli, a distanza di sicurezza dall’indomabile fervore che induce il mare a spalancare le fauci per vomitare tutta l’incontenibile rabbia che gli tormenta l’anima quando è agitata.
Quando è agitato.
Gli occhi rimangono sistematicamente ipnotizzati da quello spettacolo di viscerale passione, tutte le volte, come se fosse la prima volta e si addentrano in quel vortice di infinite sfumature di verde ed azzurro, tra le quali si intersecano sbavature di bianco, candido ed iridescente e si spingono sempre più lontano, quasi come se volessero afferrare l’utopistica conquista insita nella cattura della linea di confine che delimita il finito e l’infinito.
Poi, una nuova onda si accinge a compiere l’ultimo sospiro, prima di dissolversi, inghiottita dall’inerzia dei granelli di sabbia e allora conviene indietreggiare.
Ancora una volta.
Il paradosso, rappresentato dalla ricerca della linea che desideriamo afferrare e quella che, volutamente e con cognizione di causa, decidiamo di non valicare, l’infinito e il finito, entrambi così vicini, eppur così distanti, nel nostro immaginario, così come nel mondo e in tutte le cose, in quel grossolano e presuntuoso immaginario nel quale sagacemente collochiamo sterili e fallaci convinzioni, destinate ad infrangersi come un’onda contro gli scogli al cospetto dell’immensità del mare.
Intanto, un’altra onda minaccia l’integrità dei nostri piedi, quindi è bene indietreggiare.
Ancora una volta.
Eppure, la differenza più sostanziale che contraddistingue e diversifica gli esseri umani è insita proprio nel coraggio che vive nei nostri piedi, quello necessario per rompere gli indugi e lasciarsi accarezzare da quella carezza di moto perpetuo e da quelle refrigeranti bollicine di sale e schiuma.
Perché solo a chi è capace di catturare l’emozione che bagna l’anima, in quel momento, infinito nella sua mera ed umile semplicità, spetta il titolo di “pescatore” delle impercettibili e preziose gemme incastonate nelle “piccole cose”.
È quando il mare ti accarezza i piedi che trovi “l’immenso”: l’unico senso che puoi dare alla realtà.