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Napoli, la città della sirena

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
15 Dicembre, 2014
in Da Sud a Sud
2
Napoli, la città della sirena
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Ulisse e le sirene

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di Ivan Cuocolo.

Tutto ha origine in un tempo antichissimo, in un passato leggendario raccontato da Omero: Ulisse, col suo passaggio fra le coste e le isole napoletane, fa innamorare le sirene che qui vivevano, sulle Seirenoussai, gli scogli di fronte a Positano (oggi dette Li Galli), coperti dalle ossa dei marinai che avevano attirato col loro canto, e che promettono all’eroe il miraggio della conoscenza assoluta. Grazie allo stratagemma di farsi legare all’albero della sua nave per ascoltarne la voce senza cadere fra le loro braccia, le creature divine, dal corpo di uccello e il viso di donna (l’immagine della donna-pesce è di origine medievale!), vinte, si gettano in mare e le spoglie di una di loro, Parthenope, giungono trascinate dalla corrente, sull’isolotto di Megaride (dove ora sorge Castel dell’Ovo), e qui, intorno al loro sepolcro, nasce la prima città, che da essa prenderà il nome: Parthenope, il cui nome può essere interpretato come “occhio di vergine”, proprio dove ora c’è il quartiere di Santa Lucia, la dea vergine della vista!

Ancora, dopo tremila anni, noi parthenopei continuiamo ad essere devoti a questa nostra antica dea, morta di amore inconsumato, simbolo stesso dell’antica vocazione marinara, e, inconsapevoli, “camminiamo in una foresta di simboli”, fra culti cristiani e pagani, mutati forse nel nome, ma non impoveriti di quell’antico spirito ellenico che ci anima. E non vi è napoletano, spiritualmente nobile, che non senta l’orgoglio di tale origine!

Storicamente la fondazione della città risale all’VIII/VII sec. a.C., quando navigatori greci fondano Parthenope sullo scoglio di Megaris (Megaride), poi estesa fino al monte Echia, forse sul luogo di un antichissimo stanziamento rodio (X sec. a.C. circa). I rodii, infatti, furono i propagatori del culto delle sirene, spesso associate a quello della dea Atena Parthenos (ossia vergine). In Egitto e in Mesopotamia, l’uccello dalla testa umana simboleggiava l’anima svincolata dal corpo, che ritrovava la sua più profonda essenza femminile. A poca distanza da Parthenope, nel 470 a.C. circa, Cuma, la maggiore e più potente fra le colonie greche del golfo, fonda Neapolis la “città nuova”, per distinguerla dall’altra più antica.

I primi templi alla dea Sirena sorgeranno proprio su quel litorale che ancora oggi porta il suo nome, e che deriva probabilmente dal greco “seirios” vale a dire “bruciante”, la stessa origine etimologica e lo stesso “appellativo” della sacra stella Sirio, che sorgendo col Sole, segna il tempo delle piene del Nilo. Perciò, divinità delle acque e della luce sono le Sirene, ma, come compagne di Proserpina, divinità anche degli inferi, o come si dice in lingua napoletana “dell’anime ‘o Priatorio”, legate al mondo sotterraneo della morte e rigenerazione della vita. Dall’origine il “sottoterra”, l’aldilà, per la forma mentis neapolitana, non è mai stato il regno della fine, ma il sacro luogo in cui Proserpina-Demetra trovava rifugio, in cui il seme “marciva” per poter rinascere a nuova vita nel germoglio primaverile, e dietro cui si celava il culto per l’antichissima Dea Madre che originariamente presiedeva alla morte, nascita e fecondità della natura.

E non è proprio a Napoli che il “13”, simbolo della morte nei tarocchi, è numero portafortuna, a significare che non vi è nulla di più salutare della Vecchia Signora? O nei culti paganeggianti delle “anime del Purgatorio”, in cui si chiedono grazie alle anime dei defunti, e si richiama quell’unione di morte-vita-amore degli antichi misteri? Nei riti “segreti” della fecondità, le vergini designate dalla sacerdotessa erano accompagnate in grotte sotterranee vicino al mare, le “Platamonie” (che hanno dato il nome all’attuale via “Chiatamone”), operando così una prima rievocazione della penetrazione della terra, in cui si consumavano riti orgiastici, con gli “officianti” incoronati di alghe marine.

A Neapolis gli imperatori e i grandi patrizi romani costruirono le loro ville, e l’immagine della città si fissò definitivamente come quella di un centro dalle tenaci tradizioni elleniche, dove ancora, fino al X sec. d.C., era parlata l’antica lingua greca.
Città di piaceri, di famosi spettacoli teatrali e sportivi, di filosofia e di poesia: da Lucrezio a Virgilio, a Orazio, Stazio, era la città prediletta da Nerone per le sue esibizioni canore. Proprio Virgilio che qui riposa in eterno, secondo la leggenda, sotterrò sul mitico isolotto di Megaride, il suo magico uovo, che fino a quando resterà intatto, la città sarà al sicuro da tutto e da tutti…ma questa è un’altra storia!

 

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Comments 2

  1. Biagio says:
    8 anni fa

    Complimenti, davvero uno splendido articolo. Ha chiaramente sintetizzato miti, leggende e tradizioni popolari. L’ho letto con molto piacere e devo dire, da studente di archeologia che conosce molto il mondo greco e magnogreco e che ha studiato poco Napoli (ahimè non per malafede), mi sono sentito leggermente spiazzato perchè c’erano un paio di cose che non conoscevo.

    Rispondi
  2. Plinty says:
    8 anni fa

    Sono finita in questo blog cercando il nome dell’autore. Sono finita a cercare il nome dell’autore perchè sto cercando informazioni sulla villa “maledetta” della Gajola, quella sull’isolotto, di cui non si capisce bene neanche il nome, visto che ogni sito ne porta uno diverso. Complimenti all’autore insomma, mi sono deliziata a leggere, anche se della Gajola non ho trovato nulla…

    Rispondi

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