Sparatorie, accoltellamenti, ferimenti, aggressioni, più o meno gravi, più o meno letali, eppur sempre lancinanti, al corpo, agli organi vitali, all’anima di un popolo.
Napoli si macchia di sangue. Ancora.
In periferia, nel cuore della città, in provincia.
Copiose e putride macchie di sangue, generate dalla barbarie di chi non conosce alternative, pregne delle lacrime di straziato e straziante disperazione di una madre che si chiama “Napoli”, sopraffatta dal dolore, stanca, sbiancata, sopraffatta, avvilita, al cospetto di quello spettacolo increscioso e tutt’altro che conforme alla reale e più veritiera indole dei suoi figli.
Nel corso delle ultime ore, gli episodi di cronaca, infatti, si susseguono con una frequenza così ravvicinata che si fatica a stargli dietro.
Impossibile risulta, in ogni caso, capire, riportare e ricercare una spiegazione plausibile ad un escalation di veemente tirannia tanto inverosimile quanto agghiacciante.
Germoglia rude angheria ovunque, più o meno legata alla criminalità, accompagnata da pistola o da qualsivoglia altra arma, più o meno “di fortuna”, ma parimenti capace di generare terrore, brutalità, allarmismo, sgomento, ma, soprattutto, rabbia.
Quella rabbia che logora l’anima, annebbia, sconvolge e stravolge la mente, ma, tra la gente comune, non genera altra violenza, piuttosto, annega nella paura e la lecita e fondata apprensione proietta la coscienza verso stati emotivi misti, frammisti e mistici, quelli che, inevitabilmente, si spingono alla ricerca del senso di politiche, dinamiche ed ideologie sulle quali sono saldamente e tristemente ancorate le regole che dettano legge in quel “sottomondo di mondo” che troppo repentinamente, viene allestito, a Napoli e dintorni, allorquando c’è qualcuno che impugna una pistola o si rivela estremamente a suo agio nell’implodere violenza.
Contro un buono o un “malament’“ la sostanza non cambia, perché, prima o poi è sempre un buono a finirci di mezzo.
Tramortito al suolo, mentre rincasa dopo aver fatto la spesa; sparato perché ha opposto resistenza alla consegna dell’auto o della moto, sotto la minaccia di un’arma; accoltellato in seguito ad una lite sorta per futili motivi; freddato da proiettili esplosi all’impazzata, da mani alle quali è stato commissionato un “ordinario” omicidio di Camorra che, in realtà, poi, sovente si tramuta nell’ennesimo nome da aggiungere all’elenco delle vittime innocenti, quelle ree solo ed esclusivamente di essere capitate nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ma come si fa a capire qual è “il posto giusto”?
Dove e quando possiamo asserire di essere al sicuro?