“Sono addolorato. Con pudore voglio dire alla famiglia di Davide che chiedo perdono per questa perdita, consapevole che niente e nessuna parola potrà attutire il dolore, che segnerà per sempre anche la mia vita. Io so che però questa tragedia è stata la conseguenza impensabile, umanamente inaccettabile, di un incidente. Solo un terribile incidente. Non ho mai puntato la pistola, ho alle spalle dieci anni di lavoro, anche a Verona. Se avevo il colpo in canna quella notte è perché io e il mio collega inseguivamo un latitante. Non sono mai stato un Rambo, non ho neanche immaginato di puntare la pistola. Sono inciampato quella notte, mentre bloccavo l’altro giovane che si divincolava. Se si fa una perizia si vedrà che c’è il gradino”.
Con queste parole, divulgate dal suo legale, tramite l’edizione odierna de “La Repubblica”, il carabiniere accusato dell’omicidio di Davide Bifolco, il 17enne raggiunto da un proiettile esploso dalla sua pistola d’ordinanza, commenta il tragico accaduto e rivolge il suo pensiero ai familiari del ragazzo, ma soprattutto fornisce “la sua verità”, nell’ambito di una vicenda ancora tutta da chiarire.
Intanto, domani, sulla salma della vittima verrà effettuata l’autopsia.