11 novembre 2007: è una domenica qualunque. Almeno fino a quando l’adrenalinica attesa che introduce e contraddistingue le ore che antecedono la partita non viene abrasa da sangue e polvere da sparo.
Gabriele Sandri è un tifoso laziale, un tifoso come tanti, innamorato del calcio e della sua squadra, schiavo di quella passione che lo portava a girovagare in lungo e in largo per l’Italia, per sostenere “i suoi colori”.
Quella domenica Gabriele era in viaggio in macchina con quattro amici, diretto verso Milano per la partita Inter-Lazio. Il gruppetto si ferma nell’area di servizio Badia del Pino, vicino Arezzo, dove incrocia tifosi juventini diretti a Parma. Tra i due gruppi di supporter è scattata una rissa e l’agente Luigi Spaccarotella, sentite le urla e vista una macchina scappare, aziona la sirena e poi spara un colpo di pistola verso la vettura.
Quel proiettile raggiunge ed uccide Gabriele Sandri, che stava dormendo sul sedile posteriore.
Spaccarotella è stato poi condannato a nove anni e quattro mesi in Cassazione per omicidio volontario. Una sentenza che non attenua il dolore sortito da una vicenda amara che ha scritto una delle pagine più tristi e sanguinose della storia del calcio e non solo.
Poco o nulla è cambiato da quel cruento giorno di sette anni fa.
O meglio, nulla è migliorato.
E la morte di Ciro Esposito lo ribadisce.
Anche sul volto di Gabriele, così come sulle circostanze che hanno portato alla sua morte, sono state affrancate quelle stesse etichette attribuite anche al trentenne originario di Scampia che ha perso la vita nel corso degli scontri avvenuti all’esterno dello stadio Olimpico, lo scorso 3 maggio.
Ultrà: sinonimo di “terrorista”, “criminale”, “brutto ceffo”.
Gabriele quel giorno dormiva, Ciro quel giorno era armato di casatiello.
Gabriele quel giorno ha trovato sulla sua strada il colpo di pistola esploso da chi viene pagato per proteggerci.
Ciro quel giorno ha trovato sulla sua strada il colpo di pistola esploso da un criminale al quale le forze dell’ordine avrebbero dovuto impedire di trovarsi lì.
Gabriele e Ciro sono e saranno sempre un volto scalfito in un murales, una bandiera e uno striscione onnipresenti in una curva, un ricordo, commosso e sofferto, applaudito da tutti quei tifosi che vorrebbero un calcio diverso e nei cui occhi si disegna una lacrima di rabbiosa emozione al cospetto di quelle ingiuste “vittime di una passione”, andare incontro alla morte solo perché l’amore per quella squadra li ha portati a trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.