Quando bisogna tutelare i propri interessi, sembra non ci sia un limite al buon senso.
È successo in Francia che il barista Gilles Crepin abbia lasciato bere una grande quantità di “shottini” ad un suo cliente. Al primo cicchetto ne è seguito un secondo, poi un terzo, un quarto, un decimo, un venticinquesimo… Sembrava non avere intenzione di smetterla, Renaud Prudohomme, deciso a superare il record del bar “Le Starter”. Né il barista intendeva andare contro la sua volontà, ponendolo davanti a un rifiuto categorico dell’ennesimo bicchierino.
Un po’ come il piercer illegale o chi impacchetta sigarette: da una parte c’è chi vende, pensa al guadagno da mettere in tasca e portare a casa, dall’altra c’è il consumatore, che nel caso dei piercing e delle sigarette probabilmente è conscio del danno che sta per subire, mentre nel caso dell’uomo francese è immediato il pensiero che dopo i primi cinque o sei bicchieri non fosse più tanto in grado di rendersi conto della situazione.
La questione, quindi, è: quando un cliente non è più in grado di decidere per sé, quale ruolo deve assumere il barista? Deve pensare sempre e comunque al fatturato di fine giornata o può chiudere un occhio e regolarsi al posto di chi è dall’altra parte del banco?
Il tribunale francese sembra optare per la seconda soluzione, soprattutto dopo il tragico epilogo della vicenda: il cinquantaseienne è morto sul colpo per arresto cardiaco, al cinquantaseiesimo cicchetto nell’arco di una sola ora, dopo aver raggiunto l’ospedale per essere ricoverato. Tanto che adesso il barista di Clermont-Ferrand è stato condannato per omicidio colposo a quattro mesi con la condizionale. Il suo avvocato ha dichiarato di voler ricorrere in appello.
Il tasso di alcolemia nel sangue di Prudohomme corrispondeva a 3,7 grammi.