Raccontare la storia di un luogo a volte può essere difficile in special modo quando le componenti che ne determinano la singolarità sono molteplici e variamente connesse ed articolate fra di loro; luoghi eccezionali perché eccezionale è la storia degli uomini che fortemente li hanno pensati e voluti.
Luoghi mitici il cui mito nasce dalla loro storia, dall’idea che si sono fatta tutti quelli che per varie motivazioni li hanno frequentati, dalle emozioni che riescono a suscitare, dai colori, dalle opere d’arte che racchiudono, dalle dicerie, dai messaggi che trasmettono, dalle leggende , dai simboli e via continuando.
Palazzo di Sangro di Sansevero, è uno di questi luoghi.
Eretto nel XVI secolo per volontà del duca di Torremaggiore Paolo di Sangro come residenza della casata, fu poi restaurato nel XVIII secolo dal settimo principe di Sansevero, Raimondo di Sangro.
Il Palazzo era già noto al popolo, per la sua triste fama; si racconta infatti che nel 1590 l’allora padrone del Palazzo, il celebre compositore Carlo Gesualdo Principe di Venosa, avesse sorpreso la propria moglie Maria d’Avalos con il suo amante, il Duca Fabrizio Carafa, e li avesse uccisi per poi portarne i corpi sullo scalone e ammettere il popolo al palazzo perché potesse vedere la sua onta lavata con il sangue.
A tale efferatezza si aggiunse anche l’oltraggio di un monaco domenicano, un gobbo, una sorta di sagrestano, il quale, infilatosi verso tarda notte nel palazzo, diradatasi ormai la folla di curiosi e ritiratisi i servi, violò il corpo esanime della d’Avalos.
Condannato al dolore eterno, il fantasma della bellissima Maria vaga da allora ogni notte per le buie strade di piazza San Domenico Maggiore e dintorni. In vesti succinte, i capelli mossi dalla brezza, si aggira afflitta alla ricerca del suo amante, emettendo un lungo grido agghiacciante che tuttora lascia i brividi a chi ha la sventura di ascoltarlo. In altri casi emette invece un sibilo somigliante a un soffocato lamento.
Nel 1889 un’ala dell’infausto edificio crollò e l’incidente fu subito messo in relazione con il delitto d’Avalos, in seguito al quale infatti il palazzo e chi vi abitava erano stati maledetti fino alla settima generazione.
È facile, per il popolo, far nascere vicende magiche e misteriose che ben presto coinvolgono anche l’erudito e altrettanto misterioso VII Principe di Sansevero, il quale peraltro nulla fa per screditare tali dicerie, e anzi ammanta la propria vita di
segretezza rinchiudendosi per giorni nei suoi laboratori alchemici, dove studia e realizza i suoi esperimenti, i suoi studi e le sue “invenzioni”. Si aggiunga che, nei sotterranei del Palazzo, era stata installata una tipografia che, con i suoi rumori decisamente originali per l’epoca, ben poteva alimentare ulteriori dicerie.
Le attività “inusuali” di Raimondo, pertanto, contribuirono non poco ad alimentare una serie di leggende poco lusinghiere intorno alla sua persona, che divenne, col passare del tempo, una figura di primo piano nell’immaginario “magico” della cultura popolare napoletana.
Tra le leggende sul suo conto, una diceva, ad esempio, che avesse fatto uccidere sette cardinali e che con le loro ossa e la loro pelle avesse fatto realizzare altrettante sedie; che avesse ucciso una donna che gli si negava, e un nano che la difendeva, “metallizzandone” i corpi; che riuscisse a riprodurre la liquefazione del sangue come avviene per quello di San Gennaro; che avesse fatto resuscitare alcuni gamberetti di fiume essiccati; che ottenesse il sangue dal nulla.
Dalle accuse generiche di alchimia, stregoneria e ateismo, si passò ad altre più particolari e, a quanto è dato di sapere, prive di alcun fondamento, come quella di far rapire poveri e vagabondi per ignobili esperimenti.
Ma la cattiva fama si sparse anche tra le classi elevate, a causa del comportamento tenuto nei confronti dei suoi confratelli massoni, da lui denunciati all’autorità giudiziaria, comportamento che gli valse una sorta di damnatio memoriae da parte delle logge di mezza Europa.
Alla leggenda nera contribuì anche la passione del principe per il bel canto. Stando ad una delle tante dicerie, anche questa non comprovata, Raimondo sarebbe stato solito girare per le campagne in cerca di ragazzi dalla voce adatta, li avrebbe comprati dai genitori e, dopo averli fatti castrare dal suo medico, li avrebbe fatti rinchiudere nel conservatorio di Napoli dove sarebbero stati avviati alla professione canora.
Di lui Benedetto Croce, in “Storie e leggende napoletane” scrive:
“Solo che per essere un gran signore, un principe, egli riuniva alle arti diaboliche capricci da tiranno, opere di sangue e atti di raffinata crudeltà. Per lieve fallo fece uccidere due suoi servi, un uomo e una donna, e imbalsamarne stranamente i corpi in modo che mostrassero nel loro interno tutti i visceri, le arterie e le vene, e li serbò in un armadio, e ancora si mostravano dal sagrestano in un angolo della chiesa; ammazzò altra volta nientemeno che sette cardinali, e dalle loro ossa costruì sette seggiole, ricoprendone il fondo con la loro pelle; all’artista che gli scolpì per la sua cappella il Cristo morto, trasparente sotto un velo di marmo, e che vi lavorò la vita intera, fece cavare gli occhi affinchè non eseguisse mai per altri così straordinaria scultura…”.
Il grande filosofo continua ancora, ma dobbiamo credergli alla lettera?