Sono ore di dolore, le ore più tristi, pregne di ricordo e commemorazione che si fondono nella costernata disperazione, per la famiglia Solesin e per tutti coloro che hanno amato, vissuto e conosciuto Valeria, la ricercatrice italiana morta durante l’agguato terroristico al teatro Bataclan di Parigi, una settima fa.
Ieri la salma della 28enne di origine veneta è tornata a casa, tra le lacrime dell’intera nazione.
L’autopsia e le indagini in corso cercano di ricostruire quei tragici e concitati attimi che hanno portato alla morte di Valeria e soprattutto, tra dolore e costernazione, irrompe il ricordo del suo ragazzo: “Per due ore mi sono finto morto e sono stato abbracciato a Valeria. I terroristi dell’Isis passavano tra i feriti del teatro Bataclan per dare il colpo di grazia alle vittime”. Così Andrea Ravagnani, fidanzato di Valeria Solesin, racconta la tragica follia che ha scandito quegli attimi che hanno portato alla morte di Valeria. Il giovane è stato interrogato dagli inquirenti veneziani subito dopo essere atterrato all’aeroporto Marco Polo con l’aereo di Stato che ha riportato in Italia la giovane veneziana. Insieme ad Andrea sono stati interrogati anche la sorella e il suo fidanzato, tutti e tre erano al teatro Bataclan di Parigi e hanno raccontato di aver visto che Valeria è stata uccisa dai terroristi.
Un solo proiettile ha ucciso la ricercatrice veneziana. Un proiettile che ha centrato Valeria sulla parte sinistra del volto. È entrato nel naso, gli ha lacerato il labbro, ha trapassato la mandibola, si è conficcato nella spalla sinistra ed è uscito dalla schiena. La giovane veneziana è morta in pochi istanti.