Si ridimensiona il quadro delle accuse, che restano comunque pesanti, a carico di Pasquale Sibillo, quello che fino a poco tempo fa era stato etichettato come il capo della paranza dei bimbi di Forcella e finito in manette il 5 novembre scorso a Terni, dopo 5 mesi di latitanza e che il 5 gennaio prossimo, si troverà dinanzi ai giudici per rispondere di reati legati a camorra, droga, tentato omicidio, estorsione.
Oggi, però, scopriamo che Lino non era il capo assoluto della paranza e non fu lui a istigare gli amici ragazzini a usare la pistola nella scazzottata per una sigaretta negata all’uscita di una discoteca. Sul suo capo quindi non pende più l’accusa di omicidio per la morte Maurizio Lutricuso, assassinato il 10 febbraio 2014 nel parcheggio di una discoteca a Pozzuoli: inizialmente Sibillo fu indicato tra i presunti istigatori, ma indagini successive devono non aver confermato il sospetto tanto che anche il Riesame, su istanza della difesa (avvocato Riccardo Ferone), aveva disposto l’annullamento della misura cautelare per il reato. Reggono, invece, le altre accuse tanto che la Procura antimafia ha chiesto e ottenuto per lui, come già nelle scorse settimane per gli altri numerosi indagati (una sessantina in tutto), il giudizio immediato.
Evidenti le prove emerse dalle intercettazioni, decisivi gli elementi raccolti nel corso delle indagini secondo i pm che hanno coordinato l’inchiesta (i pubblici ministeri Henry John Woodocock e Francesco De Falco del pool antimafia), tanto da rendere possibile un’accelerazione sui tempi del processo, saltare l’udienza preliminare e arrivare al giudizio di primo grado. Sibillo opterà per il rito abbreviato.
Sarà chiamato a rispondere del ruolo avuto nella paranza dei bimbi di Forcella. Un ruolo che, secondo ipotesi da accertare, potrebbe aver svolto più all’ombra rispetto al fratello Emanuele, ucciso in un agguato il 2 luglio scorso e di altri esponenti del cartello Giuliano-Brunetti-Amirante-Sibillo, nonché di traffico di stupefacenti, armi, minaccia per i colpi di pistola esplosi contro la casa di persone ritenute legate al clan dei Mazzarella, tentato omicidio per l’agguato tentato il 6 maggio 2013 contro tre giovanissimi vicini ai Mazzarella, nonché del pizzo imposto agli ambulanti del mercato nella zona della Maddalena e dei soldi che tentò di estorcere a una commerciante minacciata anche di dover cedere l’appartamento.
«Mi devi dare 300 euro al mese per il negozio e devi lasciare immediatamente la casa entro 24 ore, altrimenti ti metto una bomba»: così Lino Sibillo professava la sua egemonia criminale.