La versione “young” della criminalità non è solo quella esibita con sfrontata ferocia dalle moderne file della camorra e che trova la più moderna e tangibile espressione nella celeberrima “paranza dei bimbi”.
Invero esiste anche quella forma di criminalità che potrebbe essere definita “soft”, ma che si rivela comunque capace di generare fenomeni e meccanismi, oltre che vicende e dinamiche, pericolose e violente.
Sono quei ragazzi che, con il volto coperto dal passamontagna, non hanno paura di mostrare la loro identità, in tutta la sua nuda e disarmante essenza.
Storie di ordinaria illegalità, sprezzanti rude e turpe violenza che non fanno nemmeno più notizia.
“A ridosso del Natale, aumentano i furti e le rapine, è sempre stato così ed in regime di crisi è ancor più vero”.
Questa l’inverosimile ed inaccettabile attenuante che le masse, “le vittime” di questa dilagante barbarie che ci costringe a respirare aria gelida mista a paura, sono sommessamente disposte a fornire per giustificare episodi di ordinaria microcriminalità.
Ragazzini che impugnano un’arma per emulare genitori o “datori di lavoro”, per non deluderne le aspettative e per dimostrare di possedere quel carattere, conclamato e decantato quale condizione necessaria ed imprescindibile per ambire a diventare una pedina cardine del “sistema”, una di quelle sulle quali si può contare per compiere taluni “lavoretti”.
Ragazzini che si strappano dal volto, dagli occhi, dalla quotidianità, la genuina ed ingenua spensieratezza dei loro anni per cucirsi addosso una spavalda e cruenta condotta che li condanna, prima o poi, ad inciampare o cadere in guai seri, talvolta irrimediabili.
Quei guai si chiamano “sparatorie”, “carcere minorile”, talvolta “morte”.
Quei ragazzini sono solo degli invisibili ai quali viene, illusoriamente, lasciato credere che quello è il modo più appagante e redditizio di urlare la propria falsata identità.