Nel 1487 l’architetto fiorentino Giuliano da Maiano iniziò a dirigere a Napoli la costruzione di una villa nobiliare, per incarico del duca di Calabria, Alfonso d’Aragona. Il territorio scelto si trovava fuori le mura della città, a circa due chilometri e mezzo da Porta Capuana, costruita tre anni prima dallo stesso architetto per incarico del re Ferrante I, di cui Alfonso era l’erede.
La zona, che si estendeva fino alle pendici del Vesuvio, era paludosa e malarica, con acque stagnanti dette ‘fusari’, utilizzate per la macerazione del lino e della canapa, attività che era stata proibita nel 1306, da Carlo II d’Angiò. I terreni erano attraversati dall’acquedotto della Bolla, la cui corrente, all’altezza di un tempietto in marmo detto ‘casa dell’acqua’, si divideva in due parti, di cui una coperta che riforniva la città e l’altra, scoperta, che azionava 11 mulini nella palude.
Nel 1485 Ferrante I d’Aragona, che aveva un casino di caccia nella zona, creò il ‘Fosso reale,’ forse il primo dei canali di scolo delle acque, nel tentativo di debellare le epidemie di malaria a Napoli. Negli stessi anni suo figlio Alfonso espropriò i terreni che gli interessavano, spesso senza indennizzare i proprietari e tolse l’acqua che attraversava la sua terra, incurante del fatto che essa azionava alcuni mulini a valle.
Di quella che fu la villa e della sua trasformazione nel tempo sappiamo ben poco. Dall’esame della pianta redatta da
Sebastiano Serlio e della sua descrizione, risulta che l’edificio era quadrato, con all’interno un cortile dal tetto di legno, al quale si accedeva scendendo cinque gradini, sullo stile delle case antiche con peristilio. Non era lastricato con la pietra ma con mattonelle di ceramica invetriata. Ai quattro angoli del palazzo vi erano delle torri, che non sporgevano oltre il tetto del corpo centrale.Sia all’esterno che dalla parte del cortile interno, vi erano ampi porticati. In un cortile laterale vi erano i locali di servizio ed una loggia di due piani. Sempre da quel lato si trovava una vasca con sei fontane, dove era possibile bagnarsi. I giardini erano ricchi di fontane zampillanti, per l’abbondanza dell’acqua prelevata dall’acquedotto della Bolla, a discapito della quantità destinata alla città.
Secondo il Celano, all’interno dell’edificio, sulle porte e sugli archi, vi erano tondi di terracotta invetriata con i ritratti degli eroi d’Aragona e vari affreschi che celebravano la vittoria di Alfonso contro i Baroni.
La decadenza della villa iniziò dal 1494, con l’arrivo di Carlo VIII e la fuga di Alfonso in Sicilia.
Nel 1582 fu consolidata l’intera struttura danneggiata dai terremoti. Nel 1604 il vicerè Pimentel de Herrera abbellì il sito con un lungo viale alberato e molte fontane, ma la rinascita non durò a lungo.Nel 1656 scoppiò la peste ed i morti furono seppelliti sulla collinetta di Poggioreale. La villa di Alfonso II decadde di nuovo e nel settecento fu venduta alla famiglia Miroballo.
Agli inizi del 1800 sulle rovine della villa, che furono definitivamente distrutte, fu costruito il primo nucleo del Cimitero di Poggioreale.