Il Clan dei Mariano, particolarmente attivo tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli, detto anche clan dei “Picuozzi”, – dal nome del caratteristico cordone che ciondola dal saio dei monaci – ha vissuto anni gloriosi durante la prima metà degli anni Ottanta, dopo il tramonto dei cutoliani, attraverso l’ascesa dei fratelli Salvatore, Ciro e Marco, già gregari dei fratelli Giuliano quando vennero arrestati nell’ambito dell’inchiesta sulla Nuova Famiglia del 1984.
Il clan dei Mariano è stato in guerra prima con i Faiano (i Di Biasi), e poi con l’Alleanza di Secondigliano agli inizi degli anni novanta per il controllo dei Quartieri Spagnoli.
Ciro è stato il boss indiscusso del clan dei picuozzi, controllava la zona dei Quartieri spagnoli con la droga, le estorsioni ed il lottonero. Amante della bella vita, degli alberghi a cinque stelle e dei locali alla moda, Ciro è stato un boss diverso dagli altri. Mentre era in guerra a Napoli, già latitante, dava ordini da lontano ai suoi fedelissimi frequentando ristoranti del centro di Roma. Già sposato con Concetta Tecchio, si invaghì di una donna del Vomero, quartiere bene della città di Napoli, Francesca Bourelly, figlia di un ingegnere, per la quale lasciò la moglie. La contiguità dei mondi sociali ed economici che caratterizzano la Napoli degli anni ottanta trovò in questa vicenda un episodio paradigmatico del livello di infiltrazione camorristica nella vita cittadina. Ciro Mariano, grazie a quella relazione, si illuse di diventare imprenditore, ma non ne aveva né la stoffa né la capacità manageriale. Mentre Marco, fratello minore di Ciro e Salvatore, – entrambi ancora in carcere – è stato scarcerato alla fine del marzo 2009, dopo vent’anni di reclusione, per “fine pena”, giunta 15 mesi prima per i meccanismi di sconto dovuti al tempo trascorso in carcere e alla buona condotta. Pur avendo dichiarato la sua intenzione di voler rimanere lontano dagli ambienti di camorra in una lettera pubblicata il 3 maggio sul Giornale di Napoli, la sua scarcerazione, secondo gli investigatori, è alla base di profondi mutamenti negli equilibri criminali nei quartieri spagnoli.
I superstiti del clan avrebbero tentato di riorganizzarsi intorno al fratello dello storico capo dei picuozzi, unendosi in alleanza con i clan degli Esposito, dei Lepre della zona del Cavone e degli Elia del Pallonetto di santa Lucia, a questo sodalizio si sarebbe unito anche il clan di Salvatore Terracciano, detto o’nirone, dei quartieri spagnoli, nonché padre di Emanuela, condannata a dieci anni di reclusione per l’assassinio del giovane Nicola Sarpa nella notte di capodanno del 2009, nei quartieri spagnoli, sparando dei colpi di pistola in aria durante i festeggiamenti.
Nei quartieri spagnoli, in seguito alla caduta dei clan Di Biase e Russo, è emerso il gruppo dei Ricci, facente capo al pregiudicato Enrico Ricci, ex commerciante, ed ai suoi due figli, alleati dei Sarno di Ponticelli.
I Ricci sono alleati anche con Antonio D’Amico, detto “fravulella”, uomo di fiducia del clan dei Sarno.
Tra suggestioni e possibili ricostruzioni, il “clan dei picuozzi” è nuovamente balzato agli onori della cronaca in seguito all’arresto dei carabinieri del nucleo investigativo di Napoli, coadiuvati dal servizio di cooperazione internazionale di Polizia e dalla polizia spagnola, del latitante Antonio Castaldo, 41enne di Brusciano, ritenuto affiliato al clan «Mariano», avvenuto all’aeroporto internazionale di Barcellona.
Castaldo era ricercato da settembre scorso, quando si era sottratto all’arresto perché colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Napoli su richiesta della Dda, per associazione di tipo mafioso, detenzione illecita di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivi di armi comuni e da guerra e ricettazione. Nel corso della stessa operazione condotta dai Carabinieri erano state arrestate 43 persone tra Napoli, Caserta e Milano.
Secondo quanto accertato dai carabinieri, nel corso della latitanza, Castaldo si era spostato tra Amsterdam, Londra e la Spagna dove ora si trova richiuso in un istituto penitenziario in attesa dell’estradizione.