Resta ancora avvolto nel mistero l’omicidio del 34enne Davide Montefusco, ex affiliato al clan Sarno ed ex collaboratore di giustizia, ucciso da una pioggia di proiettili lo scorso venerdì pomeriggio a Ponticelli, mentre si trovava a bordo della sua auto ferma ad un semaforo in viale Margherita.
Ucciso come un boss, anche se con la camorra aveva chiuso i conti da ormai molto tempo.
A far luce sul caso la Squadra mobile diretta da Fausto Lamparelli, dalle cui indagini è emerso un primo elemento: Montefusco era armato, aveva con sé una pistola calibro 9×21.
Un omicidio intorno al quale aleggiano tanti, troppi punti interrogativi tutti da chiarire per risalire a movente, mandanti e sicari. Anche se la matrice del delitto è di chiaro stampo camorristico sono ancora tanti i dubbi sul ruolo che la vittima avrebbe ricoperto, una volta uscito dal programma di protezione, due anni fa, rispetto a fatti o situazioni riconducibili alla criminalità organizzata. Davide Montefusco, originario di Casalnuovo di Napoli, era entrato nelle fila del clan Sarno di Ponticelli pur senza avere mai avuto un ruolo di primo piano nell’ambito dell’organizzazione egemone nel quartiere Ponticelli negli anni 80 e 90. Due anni fa Montefusco era tornato a Ponticelli, dove aveva avviato una nuova vita lavorando come grossista di detersivi e prodotti per la casa. Da allora non aveva più avuto guai con la giustizia.
Tuttavia, secondo quanto emerso dalle indagini in corso, pare che proprio in ragione della sua nuova attività lavorativa avesse offerto modo a qualcuno di avercela con lui. E anche in questa direzione sono orientate le illazioni degli inquirenti. Questioni legate ad assegni o somme di denaro trattenute e di forniture non corrisposte come dovuto. In questo scenario non è difficile che Montefusco possa aver creato un “problema” alle persone sbagliate.
Non a caso, viale Margherita, la zona in cui si è consumato l’omicidio, ricade nell’area in cui è egemone il più pericoloso dei gruppi di camorra presenti nel quartiere della periferia orientale della città, cioè i De Micco, “il clan di Bodo”.