Sono trascorse più di 24 ore dal ritrovamento del cadavere di Vincenzo Amendola, il 18enne scomparso lo scorso 5 febbraio e a tenere banco sono le indagini investigative volte a far luce su una morte tanto macabra quanto prematura.
Vincenzo è stato ucciso, in quella campagna dove è stato ritrovato, trucidato a colpi d’arma da fuoco, tutti diretti al volto. Un’autentica esecuzione. Chi ha sparato voleva senza dubbio ucciderlo e voleva uccidere proprio Vincenzo.
La polizia ha fermato un amico di Vincenzo, Gaetano Nunziato, 23 anni, accusato di omicidio aggravato dal metodo mafioso nonché di porto e detenzione illegale di arma da fuoco e dell’occultamento del cadavere del giovane. In passato era stato denunciato per reati contro il patrimonio e per droga.
Ancora da capire il movente del delitto ed il contesto nel quale è maturato l’omicidio. Non viene esclusa la pista passionale. Amendola era imparentato alla lontana con esponenti del clan Rinaldi attivo nella zona di San Giovanni a Teduccio, ma Vincenzo non era un camorrista.
Il problema di Vincenzo era dentro la sua stessa testa: si comportava come un ragazzino, una sorta di Peter Pan approdato nel Bronx di San Giovanni a Teduccio e pertanto costretto ad adattarsi alle dinamiche del posto, destreggiandosi tra degrado e occhiate di minacciosa diffidenza e non tra luoghi incantati e fatine.
Vincenzo viene descritto proprio così da chi lo conosceva bene: un ragazzo a posto, senza precedenti penali, seppure a scuola era uno che dava continuamente fastidio specialmente ai ragazzi più piccoli. Tutto imputabile a quella testa che aveva molti meno anni di quelli che risultavano all’anagrafe. Non era cattivo, non era uno di quelli dai quali è bene tenersi alla larga, Vincenzo poteva definirsi uno scellerato ingenuo. Capace di dire e fare cose senza badare al peso che potessero assumere al cospetto della suscettibilità di certi altri personaggi che popolano il quartiere.
Vincenzo non amava la scuola, per questo ci andava mal volentieri ed era una piantatore di grane, pertanto, la figli decise di trasferirlo per qualche tempo in una casa-famiglia nel beneventano. Non aveva un lavoro, né passioni particolari, giocava un po’ a calcio come tutti i ragazzi, ma niente di più. I soldi necessari per frasi passare qualche sfizio glieli passava suo padre.
Nel Bronx era ben voluto da tutti ed era molto legato alla famiglia, come comprova il tatuaggio che esibiva sul braccio: Elena, il nome della sorellina più piccola. Vincenzo trascorreva le sue giornate tra le stecche di Taverna del Ferro, quello che un tempo regno incontrastato dei Formicola, uno dei clan importanti della zona, come quello dei Rinaldi. E Rinaldi è anche il cognome della mamma di Vincenzo, Anna. Forse anche per questo, quando si è saputo che era stato ammazzato con un colpo in fronte, i media hanno pensato a lui come ad un piccolo boss. Invece, Vincenzo è l’ennesimo ragazzo qualunque giustiziato come un boss.
Un calvario lungo e pieno d’angoscia per i familiari, quello iniziato il 5 febbraio, la sera in cui Vincenzo è scomparso e terminato con il ritrovamento del cadavere del giovane.
Nei giorni in cui ci si interrogava sulle sorti del giovane e finanche il programma di Rai3 “Chi l’ha visto?” diramata appelli volti a supportare e ricerche dei familiari, gli amici del Bronx hanno organizzato una fiaccolata con l’aiuto della parrocchia. Nel manifestino che pubblicizzava l’iniziativa c’era scritto che bisognava «onorarlo», come se fosse già spacciato. Come se quel tragico epilogo fosse già stato annunciato. Qualcuno sa, ma non parla, nel doveroso rispetto deli tacite regole che scandiscono le dinamiche in luoghi come il Bronx.