Uno dei killer del 18enne Vincenzo Amendola, il ragazzo ucciso nel cuore del quartiere San Giovanni a Teduccio, nella periferia est di Napoli, durante la notte tra il 4 e il 5 febbraio, aveva preso parte alla fiaccolata organizzata dalla parrocchia il 12 febbraio. Esattamente una settimana dopo l’esecuzione di quell’agguato sul quale era apposta anche la sua firma, quel killer era lì, insieme a tanti giovani del quartiere, pronto a scrutare la situazione. Era lì, ad ascoltare l’appello del parroco che esortava chi fosse a conoscenza di notizie utili al ritrovamento di Vincenzo a farsi avanti. Era lì, annidato tra la preoccupazione dei genitori del ragazzo e la sincera partecipazione dei coetanei del quartiere, amici e conoscenti, realmente preoccupati per le sorti del giovane. Lui, uno dei suoi killer, sapeva bene dove si trovasse Vincenzo e che fine avesse fatto, ma quella sera era lì solo per assicurarsi che tutto filasse liscio.
E c’è dell’altro. Uno dei due killer, prima di recarsi con la vittima su quello che sarebbe di lì a poco diventato il luogo del delitto, lasciò il suo telefonino cellulare nelle mani di una ragazza, un’amica. Le chiese di connettersi, di stare su facebook, di scrivere e rispondere senza sosta per un paio di ore… Insomma, di rimanere sempre collegata. Una mossa destinata a prefigurare un alibi in vista di possibili indagini successive alla scomparsa di Vincenzo Amendola.
La camorra ai tempi di facebook è anche questo.
Compiendo un balzo indietro di sette anni e spostandosi ad Ercolano, invece, si giunge a carpire l’epilogo di un’altra storia. Quella di Vincenzo Spagnuolo, un giovane killer che sbagliò il bersaglio di un agguato, uccidendo un innocente e per questo “punito” dal clan.
Vincenzo, infatti, “per quel lavoro” incassò solo una parte della cifra pattuita.
Anche in questo caso, a ricoprire un ruolo determinante nella ricostruzione dei fatti è una collaboratrice di giustizia: Antonella Madonna, affiliata al clan Ascione e che, a seguito dell’arresto del marito, era lei in prima persona ad assumere il comando del clan.
Una delle tante “Donna Imma Savastano” radicate negli intrecci di camorra, per intenderci. Fu proprio lei ad accompagnare Spagnuolo a Scafati a casa della fidanzata subito dopo il delitto. Secondo la collaboratrice di giustizia il vero bersaglio dell’agguato era un affiliato al clan Birra, Nicola detto “mutand ‘e fierro”, il quale aveva un’autovettura dello stesso tipo di quella del ragazzo, una Suzuki Swift. Ed è proprio la donna a raccontare che a Vincenzo Spagnuolo era stata promessa un’ingente somma di denaro, ma, in virtù dell’errore commesso, gli furono consegnati solo ottocento euro. Spagnuolo non gradì la decisione e protestò vivacemente spiegando di non essere colpevole dello scambio di persona che sarebbe stato, invece, attribuibile a chi aveva fatto la “battuta” ovvero tale Lino, che poi è stato identificato in Pasquale Spronello. Quanto vale la vita di un innocente?
Sarebbe opportuno che le parti coinvolte in questa agghiacciante vicenda si degnassero di proferire una risposta.