Rapinano il loro idolo e poco dopo avergli puntato la pistola in faccia gli chiedono di “dedicargli un gol” alla vigilia di un’imminente partita di campionato. Armati di pistola ed irriverenza, senza remore né indugi, aprono la portiera dell’auto dell’unico calciatore partenopeo attualmente in forza al Napoli per sottrargli sotto la temibile minaccia di un’arma l’orologio, dei bracciali, i contanti.
Rapinano proprio lui, quel ragazzo che incitano ed acclamano quando guardando le partite. Merito della “crisi” che polverizza l’immunità della quale fino a poco tempo fa beneficiavano i calciatori, osannati come divinità e, in quanto tali, “intoccabili” agli occhi della criminalità, organizzata ed improvvisata. O forse no. Forse “la collezione” di furti e rapine messe a segno a carico dei calciatori del Napoli riconduce ad un disegno ben architettato che fa capo ad un “piano” dettato da una logica e da un movente ben precisi. O forse alle “nuove leve” basta impugnare una pistola e pipparsi una striscia di coca per sentirsi più forti ed invincibili d Insigne, Hamsik, Cavani. E forse anche di Dio.
Uccidono un loro amico e coetaneo e lo seppelliscono nella fossa che preventivamente avevano provveduto a scavargli. Nei giorni successivi, partecipano alla fiaccolata organizzata da chi crede che quel ragazzo sia scomparso, per esortare chiunque sia in possesso di notizie utili al suo ritrovamento a farsi avanti. Loro sono lì, sanno tutto, ma fingono preoccupata apprensione, al pari di chi prega che tutto si dissolva e risolva con un brutto spavento. Loro, invece, si preoccupano di sincerarsi che tutto fili liscio e che nessun sospetto che possa ledere la loro libertà serpeggi in quel clima di concitato dolore. Loro erano pronti ad imbastire una fattoria su quell’appezzamento di terreno incolto che ha fagocitato il cadavere di un 18enne. Erano pronti a lasciare a cavalli e maiali il compito di recitare il ruolo dell’elemento di depistaggio, rendendo, così, di fatto impossibile il ritrovamento di quel corpo. Senza vita e nemmeno degno di ricevere una dignitosa sepoltura, secondo le regole della “nuova camorra”, della Camorra 2.0, quella che vive nell’era di facebook e che attribuisce ai social network un ruolo sempre più egemone e rilevante, sotto molteplici aspetti.
Le foto con la bottiglia di Belvedere in bella mostra, scattata nei locali più quotati della Napoli bene, per acquistare “follower” da tramutare in “seguaci” nella vita reale. La consegna del cellulare all’amica fidata con l’ordine di connettersi e chattare, così da costruire un alibi solido, mentre vai a compiere un omicidio. Le frasi che inneggiano al coraggio, alla criminalità, alla violenza e soprattutto le foto che ostentano un lussurioso sfarzo di capi d’abbigliamento firmati, orologi, oggetti di valore.
I tatuaggi, la bella vita, la malavita, anche a discapito di qualche scivolone grammaticale: così appare la camorra ai tempi dei social network.
Goffa, per certi versi, tremendamente povera di qualsiasi forma di pietà, per certi altri.
“Non esistono più i camorristi di un tempo” verrebbe da dire.
O, forse, sta cambiando il codice d’onore al quale attenersi, imponendo una celere revisione delle regole da rispettare per stare dietro ad un’evoluzione/involuzione che vede la posta in gioco crescere in maniera inversamente proporzionale all’età delle vite sopraffatte da quest’escalation di violenza, fuori controllo, senza criterio, senza una ragione, almeno apparente.
“Loro” sono “i nuovi volti” che scorrazzano lungo le strade della malavita cittadina.