Esattamente oggi, ricorre l’anniversario di uno dei disastri idrogeologici peggiori che l’Italia ricordi: la strage di Sarno e Quindici. Smottamenti, frane, fango dappertutto: è così che diciassette anni fa, in Campania, morirono più di 160 persone. Era il 5 maggio del 1998, quando un alluvione colpì diversi luoghi; Bracigliano, Quindici, Siano, San Felice a Cancello e Sarno, dove si registrò il bilancio più pesante: 137 vittime.
Case, un ospedale, strade, scuole. Una valanga di fango, provocata da una violenta alluvione, travolge così Sarno e i comuni limitrofi, causando oltre un centinaio di vittime. Fu una strage annunciata, poiché era risaputo che i comuni in questione erano costruiti su un terreno devastato dalla mano dell’uomo.
A Sarno, anche un ospedale, Villa Malta, fu completamento inghiottito dal fango: ci furono sei morti, medici che non si allontanarono dal loro posto di lavoro neanche quando capirono a cosa stavano andando incontro.
L’incuria nella gestione del territorio, e un sistema fognario insufficiente scatenarono la tragedia. quel giorno la pioggia e una valanga di fango non risparmiò niente. Il dolore, per anni, si è alternato alle polemiche: per quello che poteva essere fatto e che per anni si è continuato a non fare, come la messa in sicurezza di argini e costoni; per una ricostruzione che ancora oggi non è stata del tutto completata.
Un disastro, quello di Sarno, sfociato anche in una lunga vicenda giudiziaria che nell’ottobre del 2008 portò all’assoluzione dell’ex sindaco di Sarno, Gerardo Basile, e dell’ex assessore comunale Ferdinando Crescenzi, accusati di aver avuto una «condotta omissiva» nei riguardi dei cittadini sarnesi, non ordinando l’evacuazione delle abitazioni quando su Sarno si abbattè l’alluvione.
Duecentonavanta milioni di euro per le opere di messa in sicurezza della zona, altri quarantacinque milioni di contributi per la ricostruzione o la riparazione delle abitazione danneggiate: queste le cifre della ricostruzione stimate a distanza di anni dal disastro.
“Una strage nel fango”, così titolò un giornale italiano all’indomani della frana. L’evento, che ebbe forte impatto emotivo sugli italiani, portò i legislatori a scrivere e rendere legge il cosiddetto “decreto Sarno”, un decreto legge poi riconvertito in legge dello Stato che finalmente dava una spinta alla realizzazione di quella mappatura del rischio idrogeologico di cui in realtà l’Italia aveva bisogno da decenni, da prima dell’alluvione di Firenze del 1966.
Nel giro di poco tempo le Autorità di Bacino, enti creati dalla legge 183 del 1989, avrebbero dovuto realizzare i cosiddetti PAI (Piani di Assetto Idrogeologico), documenti contenenti fra le varie cose anche la mappatura delle aree a rischio alluvione ed a rischio frana. Oggi questi documenti sono stati realizzati per tutto il territorio, così come i piani su cui è scritto cosa bisognerebbe fare per mitigare i rischi.
Purtroppo questo utile strumento è ancora troppo poco valorizzato, perché nonostante sulla carta le aree a rischio siano segnate ed evidenziate, troppe poche volte si procede a una reale mitigazione. Inoltre le mappe di rischio andrebbero costantemente aggiornate, ma spesso mancano fondi.
Gli investimenti per mitigare il rischio idrogeologico sono quasi nulli, e nel frattempo a distanza di diciassette anni da Sarno si continua a morire di alluvioni e frane. Fa parte della storia italiana, assistere a nuove vittime purtroppo, perché le cose si muovano.