“Baby-boss”: un termine che fa infuriare gli uomini in divisa, in quanto sostengono che sia stato “creato ad arte” dai media per raccontare un fenomeno “montato ad arte” per conferire alla camorra quel fascinoso richiamo utile solo a fare audience, ma che non rispecchia una condizione che trova effettivo riscontro nella realtà.
Ovvero, gli inquirenti riconoscono l’innegabile escalation di giovani leve tra i ranghi della camorra, ma spiegano che non si tratta di cani sciolti, bensì di soldati al servizio dei boss detenuti in carcere che altro non fanno che eseguire gli ordini impartiti da questi ultimi.
Tuttavia, appare intellettualmente più onesto asserire che la verità sta nel mezzo, perché le recenti gesta dei fratelli Sibillo e di Walter Mallo, dimostrano l’oggettiva insorgenza di una frangia di giovani e spregiudicati aspiranti boss che si sono ribellati ai vecchi capi per provare a conquistare lo scettro del potere criminale nelle rispettive aree di competenza: Forcella, il centro storico partenopeo, nel caso dei fratelli Sibillo, il Rione Don Guanella, quindi la periferia a Nord di Napoli, la porzione di territorio che, invece, faceva gola al giovane Mallo.
Un morto e due arresti: questo il verdetto finale contro il quale si è schiantata la scalata al potere di tre tra i personaggi più forti della scena criminale contemporanea.
Senza tralasciare il “clan dei Barbudos”, acerrimi nemici dei Sibillo, tant’è vero che i quattro elementi di maggiore spessore dell’organizzazione vengono arrestati proprio perché sorpresi mentre macchinavano un agguato contro Pasquale Sibillo.
Barbe folte e tatuaggi: questi i tratti distintivi di un clan nato da una costola dell’impero del male di Antonio Genidoni, attualmente detenuto ai domiciliari a Milano. Genidoni è il mentore criminale di Raffaele Cepparulo, a cui quest’ultimo è talmente fedele da tatuarsi il suo nome sul petto.
Raffaele Cepparulo, che sui social si era autoproclamato «l’ultimo prescelto», capeggia la scalata al potere del suo clan contro i Vastarella nel Rione Sanità. La strage delle Fontanelle, sulla quale c’è la firma dei giovani Barbudos pilotati dalla “mente” Genidoni che impartisce ordini a distanza alle giovani reclute, decreta la condanna a morte di Cepparulo che pochi mesi dopo l’agguato, viene giustiziato in un circolo ricreativo di Ponticelli, quartiere dove aveva cercato riparo, consapevole del pericolo che incombeva sulla sua vita.
Fatti certi ed accertati, comprovati da intercettazioni e testimonianze di pentiti che tinto raccontano dei nuovi interpreti della Camorra 2.0.
Poi c’è la realtà dettata dalle “scene da Gomorra”, in merito alle quali sarebbe opportuno conoscere il parere dell’ideatore di “tormentoni letterari e cinematografici” che registrano il consenso più consistente proprio tra le file della camorra: Saviano non vive a Napoli, eppure risulta difficile pensare che non sia a conoscenza dell’emulazione che i personaggi di Gomorra – La serie vantano tra le giovani reclute del clan. La capigliatura di Genny di ritorno dall’Honduras ha sbancato tra baby-camorristi e aspiranti tali, così come, in più di una circostanza, i giovani camorristi, prima delle “stese” o di mettere a segno raid armati, si sono riuniti in cerchio, motivandosi a vicenda, pronunciando proprio le “frasi di Gomorra”. Sui social, tra i loro profili, impazzano i soprannomi rubati alla fiction: “l’immortale”, “o track”, così come le immagini e le frasi che inneggiano alla camorra, concorrendo a creare e rafforzare il sentimento di affiliazione.
Saviano racconta una camorra che oscilla tra realtà e finzione, fornendo alla “camorra vera” input “celebri e famosi” che gli consentono di trarre vantaggi dallo stesso successo sortito da quel prodotto letterario/cinematografico.
Tuttavia, nel suo libro, seppure incentrato sul fenomeno dei baby-boss, non ci sarà probabilmente posto per un’analisi più profonda che, nel suo caso, assumerebbe i tratti dell’esame introspettivo, ovvero: gli effetti di Gomorra sui baby-boss e viceversa.