13 luglio 1990, Ardore (Reggio Calabria) – Il commando della ‘ndrangheta voleva rapire un’insegnante di 39 anni, l’ha colpita con un martello: la donna si è accasciata sotto gli occhi del marito e dei figli ed è finita in coma profondo all’ospedale di Reggio Calabria.
I banditi sono riusciti a fuggire senza lasciare tracce. La vittima è la professoressa Raffaella Scordo, nata a Bianco, ma da anni residente ad Ardore Marina, nella Locride, dove insegna nella scuola media e vive con il marito Franco Polito, 49 anni, laureato in agraria e docente presso l’Istituto professionale di Siderno. La coppia abita in una bella villa tra gli uliveti alla periferia del paese, insieme con i figli Maria Antonietta ed Antonio, sedici e dodici anni. Una famiglia affiatata e felice, a detta di parenti e amici; abbastanza agiata anche per alcuni lasciti del padre di Polito, oculista molto noto nella zona e morto qualche anno prima, ma non certo ricca al punto da attirare le attenzioni dei rapitori. La famiglia, in quelle sere d’estate, dopo cena usciva abitualmente in auto, una «Citroen BX» bianca, per andare a fare una passeggiata sul lungomare del paese, dove s’incontrava con alcuni amici.
Quella sera, poco dopo la mezzanotte, il rientro a casa, tranquillo come tante altre volte, fino al cancello della villa, varcato senza alcun timore e sospetto dai proprietari. La loro vita abitudinaria ha certo facilitato il compito dei banditi, che hanno agito con sicurezza, magari senza sapere ancora quale familiare dovevano portare via. Forse hanno deciso sul momento qual era la preda più facile. Non era certo un sequestro annunciato. Nessuna minaccia, nessuna precauzione da parte della famiglia, neppure un sistema d’allarme nella villetta. E il piano dell’ Anonima sequestri, sino ad un certo punto, ha funzionato. La signora Scordo si è avvicinata per aprire il garage e i banditi, che si erano nascosti in una zona d’ombra, sono entrati in azione. «Sul volto avevano calze bianche e quindi erano irriconoscibili», dichiarerà più tardi il marito agli inquirenti. Pare comunque che i sequestratori fossero tre. Hanno tentato di trascinare via la donna, ma Gabriella Scordo ha cercato di resistere. Allora uno dei tre l’ha colpita, forse con un martello o con un arnese da scasso, alla nuca e al collo. Marito e figli si sono precipitati fuori dall’auto mentre i banditi scappavano, scavalcando il muro che circonda la villa. Per coprirsi la fuga (ma forse poco distante c’era un’auto che li attendeva) hanno sparato alcuni colpi di pistola: sono stati trovati bossoli calibro 7,65. Nessuno dei Polito ha pensato di inseguire i banditi: le condizioni della donna sono apparse subito molto gravi. Un primo accertamento con la Tac rilevava che Raffaella Scordo aveva subito la frattura delle ossa occipitali, con interessamento della massa cerebrale, oltre a un vasto ematoma ed altri traumi alla base del collo. I medici l’hanno ricoverata e sottoposta immediatamente a un disperato intervento chirurgico per rimuovere l’ematoma, poi l’hanno portata in rianimazione. La donna cade in coma profondo, tenuta in vita grazie alla respirazione forzata.
Combatte Raffaella, combatte con tutte le forze che le sono rimaste in corpo, ma non ce la fa. Crolla dopo diciotto giorni. Si arrende nelle prime ore del pomeriggio del 31 luglio. Il cuore non le ha retto. Entra anche lei nell’interminabile elenco dei morti ammazzati della provincia di Reggio Calabria. In quel 1990 alla fine di luglio si è già superata quota centoventi.