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Il pentito Peppe Sarno, ex boss del clan di Ponticelli, racconta come sono nate “le stese”

Luciana Esposito di Luciana Esposito
12 Gennaio, 2024
in Cronaca, In evidenza
0
Il pentito Peppe Sarno, ex boss del clan di Ponticelli, racconta come sono nate “le stese”
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4029618_0917_bosspentito Nell’immaginario collettivo le “stese” sono uno dei tratti distintivi più eclatanti della “nuova camorra”, quella interpretata da giovani con barbe lunghe e il corpo gremito di tatuaggi, che amano esibire le pistole sui social network e che attraverso il linguaggio digitale, si divertono a divulgare messaggi che inneggiano all’omertà, alla fedeltà e all’onore, da sempre i punti cardine sui quali si arpiona il codice d’onore della camorra.

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A sbugiardare questa teoria è Giuseppe Sarno detto “o’ mussillo”, ex boss del clan Sarno di Ponticelli, oggi collaboratore di giustizia. Finito nei guai per le dirette su facebook in compagnia di sua cognata Patrizia Ippolito, detta ‘a patana, moglie di Vincenzo Sarno, violando così le limitazioni imposte dal programma di protezione, l’ex numero uno della cosca di Napoli est è ritenuto dagli inquirenti un collaboratore di giustizia attendibile, in virtù dei riscontri emersi dalle indagini, in relazioni alle dichiarazioni da lui rese.

Un contributo indispensabile, quello fornito dai fratelli Sarno che hanno scelto di pentirsi, per ricostruire decenni di intrecci camorristici che, in particolare negli anni ’80 e ’90, dall’ombra del Vesuvio si sono avvicendati fino al cuore di Napoli.

In particolare, in un verbale risalente al 2009, ‘o mussillo aveva parlato delle “stese”, asserendo che quell’azione eclatante era uno dei leitmotiv della “politica del terrore” adottata dai fratelli Sarno per imporre la propria egemonia, intimando al contempo, agli affiliati e ai rivali, di guardarsi bene dal pestare i piedi alla cosca del Rione De Gasperi di Ponticelli.

La “stesa” altro non è che una raffica di colpi di pistola sparati verso l’abitazione di un “obiettivo sensibile”, nel caso in cui la minaccia sia rivolta ad una persona precisa, in genere un affiliato ad un clan rivale o un interno al clan, reo di aver compiuto qualche sgarro, mentre se lo scopo dell’azione criminale è quello di rimarcare l’egemonia del clan sul territorio, i colmi di pistola vengono esplosi verso il cielo, lungo una strada che ricopre un significato particolare sotto il profilo camorristico, perchè ospita una piazza di spaccio redditizia o appetibile oppure il quartier generale del clan o la casa del boss. Inoltre, talvolta, la “stesa” può essere compiuta nella zona di competenza di un clan rivale, in segno di sfida o di avvertimento oppure sotto forma di monito o di vendetta per un affronto subito, come a voler preannunciare il sopraggiungere di un’azione criminale ben più seria.

Più di 10 anni fa, Giuseppe Sarno spiegava che “ogni azione armata che era necessario portare, anche a solo scopo dimostrativo, in tutti i quartieri di Napoli, veniva dettagliatamente organizzata da tutti i capo clan e da mio fratello Vincenzo. Ognuno metteva a disposizione i propri uomini i quali, a bordo di decine di motociclette scorrazzavano armati per i vicoli della città, incutendo terrore e paura.” Quei camorristi, in sella a fragorose motociclette e con la pistola ben in vista, erano i sex symbol che facevano sognare le ragazze dei rioni e dei quartieri, disposte a tutto per tuffarsi tra le loro braccia. Vissuti e percepiti come degli eroi irraggiungibili, per le ragazze dei rioni popolari e dei quartieri in cui la camorra è fede, al pari della religione, accaparrarsi un flirt con una recluta dell’esercito della malavita, rappresentava quel genere di trofeo al quale ambire per tentare di scippare alla sorte un pass per una vita migliore, priva di stenti e disagi economici, oltre che per bardarsi il petto con il vanto di quella tanto ambita conquista. La cronaca contemporanea, invece, narra che ciò che resta oggi di quelle scappatelle sono figli mai riconosciuti da quei padri.

“Non si creda che quelle sono azioni improvvise ed estemporanee; – si legge ancora nella deposizione resa da Giuseppe Sarno – si tratta di azioni organizzate a tavolino, dove ognuno metteva a disposizione propri uomini per dimostrare la grande alleanza che si era creata.”

La “grande alleanza” alla quale fa riferimento Giuseppe Sarno è quella che verso la fine degli anni ’80, portò il sodalizio di Ponticelli ad unirsi in affari con i Mazzarella di San Giovanni a Teduccio e i Misso del Rione Sanità che giunsero così a detenere il controllo camorristico quasi dell’intera città di Napoli.

A fondare il cartello camorristico alla fine degli anni ’90 è Giuseppe Misso detto ‘o nasone che si allea con i Mazzarella, guidati dai fratelli Ciro, Gennaro e Vincenzo, mentre i fratelli Giuseppe, Luciano, Pasquale e Vincenzo Sarno entrarono a far parte dell’alleanza negli anni in cui scoppiò la guerra con i De Luca Bossa, in seguito alla scissione del “macellaio del clan Sarno”, Antonio De Luca Bossa, detto “Tonino ‘o sicco” che fonda l’omonimo clan con quartier generale nel Lotto O di Ponticelli.

Un sodalizio nato per osteggiare l’Alleanza di Secondigliano con la quale i Mazzarella-Misso-Sarno entrarono in conflitto quando, nel 1992, i clan di Napoli Nord misero la firma sull’omicidio di Assunta Sarno, sorella di Ciro Sarno, sposata con Giuseppe Misso, ma questa è un’altra storia.

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