Non si placano le polemiche relative alle scarcerazioni di boss e di personalità di spicco di autorevoli cartelli criminali. A gettare benzina sul fuoco hanno concorso le dichiarazioni rilasciate dal magistrato Nino Di Matteo, intervenuto telefonicamente la scorsa domenica nel corso del programma Non è l’arena di Massimo Giletti.
Secondo quanto ricostruito da Di Matteo a giugno 2018, Bonafede lo chiamò per offrirgli il posto di direttore delle carceri oppure di direttore generale degli affari penali al ministero, ma solo 24 ore dopo il ministro aveva cambiato idea.
Alcuni capi mafia, commentarono il rumors della possibile nomina di De Matto a capo del Dap usando termini molto duri, minacciando di fare “ammuina” – ovvero una rivolta – “se nominano Di Matteo è la fine”.
Dal suo canto, il ministro Bonafede, intervenuto a sua volta telefonicamente nel corso del medesimo programma, ha rigettato tutte le accuse: “Un’ipotesi tanto infamante quanto infondata e assurda: è sufficiente ricordare che, quando decisi di contattare il dottor Di Matteo, quelle esternazioni di detenuti mafiosi in carcere erano già presso il mio ministero da qualche giorno. D’altronde, se mi fossi lasciato influenzare dalle reazioni dei mafiosi non avrei certo chiamato io il dottor Di Matteo per valutare con lui la possibilità di collaborare in una posizione di rilievo”.
Mentre le opposizioni chiedono chiarezza sul caso e auspicano un dibattito parlamentare, c’è chi invoca le dimissioni del ministro e cresce l’imbarazzo anche a Palazzo Chigi.
Dal suo canto, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte blinda il suo ministro della giustizia e lo difende dalle accuse di non aver preferito il magistrato Nino Di Matteo come direttore del Dap nel 2018, per presunte pressioni indirette fatte dai boss mafiosi posti in regime di 41bis.
Conte ha “piena fiducia” in Alfonso Bonafede e lo stesso scudo a difesa del pentastellato viene innalzato da Vito Crimi, capo a interim del M5s che respinge con convinzione gli attacchi del magistrato, che ritiene di natura politica.
Per Crimi quelle del magistrato sono “congetture prive di fondamento”.
Gli altri partiti della maggioranza frenano perché il governo adesso non si può permettere crisi sulla giustizia e interviene l’ex guardasigilli Andrea Orlando del Pd, che non ammette le dimissioni di un ministro per i sospetti di un magistrato, tuttavia chiede che Bonafede faccia chiarezza su quanto realmente accaduto.
Appena un paio di giorni fa il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha sostituito al vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria il direttore dimissionario nominando al suo posto il magistrato Dino Petralia. La polemica è che nel 2018 Bonafede chiamò il magistrato antimafia Nino Di Matteo, ma secondo quest’ultimo il ministro ritirò la sua candidatura perché intimorito dalle intercettazioni in carcere di alcuni boss al 41bis che assolutamente non volevano Di Matteo capo del Dap. Bonafede in risposta alle accuse ha affermato che aveva preferito Di Matteo a capo degli Affari penali al ministero, ruolo che fu di Giovanni Falcone, perché riteneva quest’ultimo incarico di maggiore impegno nella lotta contro alla mafia e più di primo piano.