L’emergenza coronavirus continua a tenere in ostaggio le abitudini quotidiane della popolazione mondiale, condizionando le interazioni e i rapporti sociali, ma in che modo?
Ad approfondire questo tema è Emanuele Giuseppe Adiletta, dottore in scienze e tecniche psicologiche e terapista sessuale, attualmente impegnato nel promuovere e normare in Campania la figura del Sex Worker con il centro di Ricerca e Formazione in Medicina e Psicologia.
“Non dobbiamo dimenticare di essere membri di una specie sociale, – spiega il dottor Adiletta – nati dipendenti dai nostri genitori per la sopravvivenza della nostra specie. I bambini fin da subito si relazionano con i loro genitori per coinvolgerli in un comportamento protettivo ed i genitori devono aver cura di loro. Altre specie sanno correre, sentire odori e combattere meglio di noi. Il nostro vantaggio evolutivo risiede nel cervello, nell’abilità di comunicare, pianificare e lavorare insieme. La nostra sopravvivenza dipende dalle nostre abilità collettive, non dalla nostra mente individuale. Una specie sociale crea delle strutture che si estendono oltre l’organismo, strutture che variano dalle coppie alle famiglie alle scuole, dalle nazioni alle culture. Per raggiungere l’età adulta, le specie sociali, inclusi gli umani devono diventare autonomi o solitari si deve diventare quell’uno necessario al gruppo sociale.
I giovani stanno mostrando stati psicologici negativi in seguito all’epidemia da Covid-19 , cosa sta accadendo?
“I giovani rappresentano un campanello d’allarme che sta ad indicare che si sta trascurando l’impatto psicologico degli effetti dalla pandemia, spingendoci verso una società sempre più sanitarizzata che non ragiona più in termini di persona e bisogni, ma in termini di positività. Il messaggio che viene lanciato è che in caso di positività quel gruppo sociale è dannoso e deve essere smantellato, lasciando i singoli in una condizione di isolamento che vive con passività il quotidiano nel mentre attende una risposta di competenza sanitaria per essere riammessi nel contesto sociale. Mentre è in corso questo processo, la persona vive in condizione di isolamento, se questo accade nell’adolescenza o nella prima età adulta risulta essere una condizione pesante e stressante, in quanto il bisogno di queste persone è quello di sentirsi capaci di agire sul mondo e di dare una continuità a tale capacità monitorandone gli effetti nel contesto in cui si trovano. La depressione è cambiata: un tempo si parlava di un pensiero bloccato, scaturito da senso di colpa, oggigiorno nei giovani che rappresentano la categoria più a rischio è portatore di un ulteriore messaggio, il sentirsi inadatto. I giovani compensano e lottano quotidianamente contro questa sensazione agendo sul mondo e con i propri pari.”
In che modo la classe più a rischio ovvero i giovani sono un campanello d’allarme ?
“Abbiamo una serie di meccanismi biologici che ci avvertono partendo da una sensazione che è giunto il momento di prenderci cura del nostro corpo: come, ad esempio, la sensazione di sete ci spinge a bere per evitare la disidratazione, lo stesso vale per la fame e il dolore. Anche il dolore e la repulsione che si avverte verso la solitudine, scaturita dal sentirsi isolati da ciò che ci circonda, fa parte del nostro sistema biologico ed allo stesso modo fa parte del sistema di allarme che ci avverte nei confronti d’una eventuale minaccia al nostro sistema sociale. Avendo questa visione, risulta chiaro che quanto manifestano i giovani è il nostro campanello d’allarme ed al tempo stesso si sfatano i miti culturali in cui la nostra società è sommersa di autonomia e di indipendenza. Quello che sta aumentando è la prevalenza del senso di solitudine che è l’equivalente psicologico del sentirsi un perdente ed un fallito nella vita. Ricordo infatti che una persona solitaria viene associata a diverse caratteristiche definite negative, tra cui: una persona con caratteristiche sociali marginali, triste e depresso. Il problema riflette anche un altro dei sottoprodotti della nostra società che ha insegnato a guardare il risultato, i rapporti sono per lo più strumentali e non personali. Tale eredità ha portato le persone ed anche i giovani ad essere orientati all’obiettivo e quindi al raggiungere uno scopo, ma per quanto riguarda i giovani sarebbe meglio parlare di compensazione verso quel senso di inadattabilità che provano nel quotidiano, tralasciando la capacità di ragionare concretamente sui loro sentimenti ed è tal punto che affermano di sentirsi depressi, spenti, senza saper risalire all’apice della problematica che ha scaturito in loro quei sentimenti o quella che definiscono come depressione, ovvero, la solitudine. Al pari della fame e della sete anche la solitudine può essere negata anche perché ciò che è innescato dall’isolamento sociale è per lo più inconscio. Questa panoramica è soltanto allarmante, perché ci dice in che direzione andavano prima le future generazioni ed il lascito, l’impronta della nostra società su queste. Si è creata una generazione di fragili che portano il peso di un contesto inadatto ed allora i fattori come l’agenticità (la capacità di agire) e la consapevolezza della propria agenticità sono affidate ad altre persone, creando una rete sociale non di sprono o di supporto, ma compensativa e competitiva.
Il ruolo che il virus SARS Covid-19 ha avuto in questo è stato solo propulsivo, consentendo l’emergere di tale problematiche. Congruamente parlando, ciò che è sommerso e non è pronto ad uscire ed è naturalmente problematico, in quanto forzato, da qui i problemi giovanili. Il Covid si è mostrato essere un virus che ha un potenziale letale verso le categorie a rischio come anziani o persone con patologie pregresse, sul piano sociale, invece, la categoria a rischio è quella giovanile.”
Cosa accade quando le persone si sentono isolate ?
“Vengono attivati meccanismi di autoconservazione, viene percepito l’incentivo, il desiderio, l’intenzione di entrare di nuovo in contatto con le altre persone. Nel caso specifico della Pandemia da Covid-19 il sistema mentale è in uno stato di ipervigilanza verso le minacce sociali e pare ovvio da quanto abbiamo detto che il Covid-19 è una minaccia sociale, ma anche un nemico invisibile. Tale ipervigilanza fa sì che le persone facciano errori intenzionali in termini di interazioni sociali. In altre parole, se le persone prestano attenzione nel ricercare rischi, ne troveranno di più rendendo più probabili le interazioni negative o evitandole del tutto. L’ipervigilanza accresce la difesa delle persone perché si è concentrati sul proprio benessere piuttosto che dedicarsi all’altro mettendosi nei suoi panni, innescando un meccanismo che allo stesso modo incita un atteggiamento che non consente all’altro di riconnettersi con voi. L’ipervigilanza aumenta anche i livelli di cortisolo al mattino, in quanto il corpo si prepara ad una giornata che richiede molta attenzione.
Allo stesso modo sarebbe sbagliato pensare che la sera nel letto si depongono le armi e lo stress passi, quello è il momento di peggior paura, in quanto il pensiero può facilmente trarre in inganno e far emergere stati di preoccupazione che diventano sintomi inesistenti, alterando quindi la possibilità di avere un buon sonno ristoratore, causando un aumento dei microrisvegli che in questo caso indicano che la persona si sta riposando ma non troppo, perché c’è sempre un pericolo in agguato, diminuendo quindi la possibilità che il nostro corpo e la nostra mente si disintossicano dallo stress quotidiano. La mente è sempre attiva e non è possibile staccare la spina in un contesto in cui si percepisce il pericolo in ogni persona che s’incontra portando con sé anche il senso di responsabilità nei confronti della propria famiglia e delle persone care. Occorre avere certezze ed allo stesso tempo essere amici del dubbio. Bisogna avere la certezza che durante la giornata e nei vari contesti si è prestata l’attenzione di cui la situazione necessita e nei momenti di dubbio trarre forza e sicurezza dai propri comportamenti giornalieri, solo così il dubbio diventa la revisione giornaliera dell’atteggiamento e non il seme premonitore di una catastrofe.
Desidero chiudere questo discorso con una citazione: “ Tutti noi dobbiamo curare noi stessi. Il tragico destino della civiltà moderna, secondo me, consiste proprio nelle notevole difficoltà di questo compito, in quanto lo sviluppo e la specializzazione della capacità tecnico-scientifica ha indebolito le forze che ci permettono di prenderci cura di noi… In futuro la nostra esistenza dipenderà in modo decisivo da questa attenzione dedicata a noi stessi, senza la quale non possiamo far fronte alle mutate condizioni di vita di un mondo tecnologico. “ Godamer