Antonio Sarno, figlio dell’ex boss di Ponticelli, Ciro Sarno detto ‘o sindaco, non fu il mandante dell’omicidio Colaiacolo: questo il verdetto emesso stamane, giovedì 8 aprile, che scagiona da ogni accusa il figlio dell’ex numero uno della malavita di Napoli est.
Un omicidio risolto dopo 22 anni, quello di Paolo Colaiacolo soprannominato “‘o Addurmuto”, ucciso a 24 anni, il 19 giugno del 1998, mentre si trovava in una sala giochi di Ponticelli, intento a giocare ai video-poker.
Ad ottobre del 2017 sono finiti in manette presunti mandanti ed esecutori dell’omicidio di Paolo Colaiacolo, esponente del clan Sarno che aveva deciso di appoggiare la scissione di Antonio De Luca Bossa: Antonio Sarno, figlio di Ciro ‘o sindaco, storico boss di Ponticelli, Antonio Tubello, Nicola Martinez e Vincenzo Cece detto “o puorco”, cognato dei Sarno, ritenuti tutti appartenenti al sodalizio criminale operante a Ponticelli ed accusati di omicidio premeditato e detenzione illegale di arma da fuoco.
Determinanti le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, secondo i quali i killer – Cece, Tubello e Martinez – sono entrati in azione a bordo di un’auto per compiere il delitto commissionato da quelli che all’epoca erano i reggenti del clan Antonio Sarno e Ciro Esposito detto “o tropeano”.
L’omicidio del 24enne fu decretato per vendicare uno dei fatti di sangue più efferati della camorra vesuviana: l’autobomba esplosa a via Argine il 24 aprile 1998, in cui morì ” per errore” Luigi Amitrano, nipote del boss Vincenzo Sarno, reale obiettivo dell’attentato. Un agguato che segnò la fine della pace tra i Sarno e i De Luca Bossa, clan del Lotto O, nato in seguito alla scissione voluta fortemente da Antonio De Luca Bossa, detto “Tonino ‘o sicco”, killer di fiducia dei Sarno che poi decise di “mettersi in proprio” fondando un sodalizio camorristico indipendente.
Colaiacolo, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, venne ucciso perchè, dopo la tragica morte di Amitrano, si schierò apertamente con il clan De Luca Bossa.
Martinez e Tubello furono arrestati a Ponticelli mentre Antonio Sarno, fu raggiunto dal medesimo provvedimento a Prato, dove si era stabilito da qualche anno. Aveva deciso di cambiare aria e di iniziare una nuova vita, Antonio Sarno, dopo il declino del clan gestito dal padre e dagli zii, ma non gli è bastato cambiare regione per sfuggire al regolamento dei conti con il passato. Tirato in ballo come mandante di un omicidio che avrebbe commissionato ai killer del clan di famiglia quando aveva all’incirca 20 anni, dietro le accuse mosse ad Antonio Sarno, in realtà, si cela ben altro intento ed è quanto emerso nel corso del processo che oggi ha portato all’assoluzione del figlio di ‘o sindaco.
Ad indicare Antonio Sarno come mandante dell’omicidio Colaiacolo è soprattutto Carmine Esposito, collaboratore di giustizia dal 2009, passato dalla parte dello Stato in seguito al ben più eclatante pentimento del cugino, Ciro Sarno.
Solo nel 2014, però, Esposito accosta il nome del figlio dell’ex leader della camorra ponticellese all’omicidio Colaiacolo, quindi ben 5 anni dopo il suo pentimento. Una deposizione a scoppio ritardato tutt’altro che casuale, dietro la quale si cela una regia ben precisa.
Carmine Esposito mette nei guai Antonio Sarno in seguito ad un colloquio con i fratelli che gli indicano quella opzione per vendicarsi di Ciro Sarno. Colpire il figlio per infliggere una “punizione” al padre che con le dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia ha inguaiato la loro famiglia, oltre che il clan che a tutti i costi stavano cercando di tenere in piedi. Una su tutte, la condanna all’ergastolo per Pacifico Esposito per la strage del Bar Sayonara. Tante le ruggini tra gli Esposito – cugini dei Sarno – e gli ex leader del clan nato tra le rovine del Rione De Gasperi di Ponticelli che hanno concorso ad alimentare il desiderio di vendetta covato e condiviso da tutti i parenti degli uomini d’onore dell’ex clan Sarno condannati all’ergastolo proprio per la strage del Bar Sayonara, in cui persero la vita 4 persone estranee alle dinamiche camorristiche.
Per quella mattanza, Ciro, Antonio e Giuseppe Sarno, Giovanni, Ciro e Gennaro Aprea, Vincenzo Acanfora, Luigi Piscopo, Gaetano Caprio, Roberto Schisa, Pacifico Esposito sono stati condannati al carcere a vita. Giuseppe Esposito è stato condannato a 16 anni di reclusione.
Quando quelle condanne sono state confermate in via definitiva, i parenti degli uomini d’onore condannati all’ergastolo hanno impugnato le armi per sedare la brama di vendetta: in barba a questa logica hanno perso la vita Mario Volpicelli, cognato dei Sarno, commesso in una merceria, e Giovanni Sarno, fratello degli ex boss di Ponticelli, disabile e con problemi di alcolismo.
Gli Esposito avrebbero voluto “punire” ‘o sindaco infliggendo il medesimo destino a suo figlio Antonio, ma la verità processuale ha decretato tutt’altro verdetto. Plurime le prove emerse nel corso del processo, volte ad appurare l’estraneità del figlio di Ciro Sarno rispetto ai fatti contestati. Seppure suo padre abbia sempre cercato di tenerlo lontano dalla malavita, questo non è bastato ad evitargli di convivere con la paura di trascorrere il resto della sua vita in carcere.