La morte del 31enne romano Stefano Cucchi rappresenta uno di quegli eventi destinati a lasciare un segno indelebile nella storia italiana. Una morte che ha sancito un punto di non ritorno e che fin da subito è stata avvolta in un fitto mantello di insabbiamenti e depistaggi, volti a celare le reali circostanze in cui è maturata la dipartita del giovane.
Una verità scomoda, quella che fin da subito aleggiava intorno al cadavere di Cucchi, arrestato 7 giorni prima e ridotto in fin di vita dopo aver subito un brutale pestaggio in caserma, da parte dei militari dell’arma che dopo non poche battaglie, condotte in primis da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, sono stati condannati.
La Corte d’assise di Roma ha infatti condannato i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a 12 anni, aumentati a 13 in appello, per omicidio preterintenzionale. Una sentenza che giunge al culmine di un lungo e tormentato calvario per la famiglia Cucchi che nel corso degli anni non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia per la morte di Stefano.
Un calderone mediatico generato da un gesto forte compiuto da Ilaria Cucchi che mostrò le immagini del cadavere del fratello che presentava vistosi lividi in diversi parti del corpo. Malnutrito, tumefatto, martoriato. Immagini forti, fortissime che urlavano verità e giustizia. Immagini agghiaccianti, dinanzi alle quali l’opinione pubblica non ha voluto chiudere gli occhi e voltare le spalle.
Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi, geometra romano, 31 anni compiuti il 1° ottobre, fu fermato dai carabinieri Francesco Tedesco, Gabriele Aristodemo, Raffaele D’Alessandro, Alessio Di Bernardo e Gaetano Bazzicalupo dopo essere stato visto cedere a Emanuele Mancini delle confezioni trasparenti in cambio di una banconota.
Portato immediatamente in caserma, fu perquisito e trovato in possesso di 12 confezioni di varia grandezza di hashish (per un totale di 20 grammi), 3 confezioni impacchettate di cocaina (di una dose ciascuna) e un medicinale per curare l’epilessia, malattia da cui Cucchi era affetto. Motivo per il quale fu disposta la custodia cautelare; Cucchi prima dell’arresto e dell’arrivo in caserma non presentava alcun trauma fisico. Il giorno dopo si tenne l’udienza per la conferma del fermo in carcere, nel corso della quale gli fu viene attribuita una nazionalità straniera e la condizione di “senza fissa dimora”, nonostante fosse regolarmente residente a Roma. Già durante il processo, Cucchi aveva difficoltà a camminare e a parlare e mostrava evidenti ematomi agli occhi; il ragazzo parlò con suo padre pochi attimi prima dell’udienza, ma non riferì di essere stato picchiato.
Nonostante le precarie condizioni, il giudice fissò l’udienza per il processo, che si sarebbe dovuto tenere un mese dopo, e ordinò sino a tale data la custodia cautelare presso il carcere di Regina Coeli. Dopo l’udienza le condizioni di Cucchi peggiorarono ulteriormente. Il 16 ottobre, alle ore 23, fu condotto al pronto soccorso dell’ospedale Fatebenefratelli, presso il quale furono messe a referto lesioni ed ecchimosi alle gambe, al volto (con frattura della mandibola), all’addome con ematuria, e al torace (con frattura della terza vertebra lombare e del coccige). Fu quindi consigliato il ricovero, che però il paziente rifiutò, venendo quindi ricondotto in carcere.
Nei giorni successivi, per l’aggravarsi delle sue condizioni, Stefano Cucchi fu trasferito al reparto detenuti dell’ospedale Sandro Pertini, dove morì all’alba del 22 ottobre; al momento del decesso pesava solamente 37 Kg. Dopo la prima udienza, i familiari cercarono a più riprese di incontrare Stefano o perlomeno ricevere notizie sulle sue condizioni fisiche, ma senza successo. A comunicare loro la morte di Stefano, fu un ufficiale giudiziario che si recò a casa Cucchi per chiedere l’autorizzazione per l’autopsia.
Il decesso di Stefano Cucchi diede il via ad un valzer di depistaggi e bugie, volte ad occultare le reali circostanze in cui era maturata la morte del 31enne: era stato barbaramente pestato, quando fu condotto in caserma, in seguito all’arresto.
Un referto stilato dall’associazione Medici per i diritti umani e da Open Society Foundations, parla di vere e proprie torture e sostiene che Cucchi abbia subito una doppia aggressione: l’ultima prima dell’udienza di convalida del fermo.
La vicenda giudiziaria fu seguita fin dall’inizio dal legale di fiducia della famiglia, l’avvocato Fabio Anselmo, che aveva personalmente conosciuto Cucchi prima dell’arresto, e che assistette la sorella di Cucchi durante gli anni di processi, 45 udienze, 120 testimoni e decine di consulenze tecniche.
Il coraggio e la determinazione di Ilaria Cucchi hanno tramutato quell’evento violento in un sonoro “mai più” finalizzato ad introdurre e riconoscere il reato di tortura, la grande battaglia tuttora condotta dalla sorella di Stefano Cucchi.