L’anno che sta per volgere al termine consegna una serie di tristi primati a Ponticelli, il quartiere geograficamente più esteso e più densamente popolato della città di Napoli.
Secondo i dati Istat forniti dalle commissioni periferie, Ponticelli nel 2021 è stato indicato come il quartiere italiano in cui si registra il più elevato numero di Neet, ovvero, giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni che non studiano e non lavorano. A fronte di una media nazionale del 20%, a Ponticelli il 31,40% dei giovani trascorre le sue giornate a caccia di diversivi e passatempi utili ad ammazzare la noia. Non risulta difficile capire come e perchè la camorra rappresenti il core business dell’economia del quartiere.
Non a caso, anche nel corso del 2021 tantissimi giovani sono morti per mano della camorra o sono finiti in carcere.
Il 2021 è stato l’anno della consacrazione del clan De Martino, anche noto come clan “XX”, costituito interamente da giovanissimi. Un vero e proprio brand, rifondato sulle ceneri del clan De Micco tra la fine del 2017 e l’incipit del 2018, che emula il concept ideato dai Sibillo di Forcella sulla falsa riga delle gang sudamericane: barbe folte, tatuaggi, una sigla identificativa da divulgare in maniera compulsiva, sui social network e sui muri dei rioni per marcare l’egemonia del cartello criminale. E, soprattutto, pestaggi, incursioni armate, metodi violenti finalizzati ad incutere terrore e rivendicare rispetto.
A capo del clan De Martino c’è Salvatore, ultimo membro dell’omonima famiglia in libertà, dopo l’arresto del padre Francesco e dei fratelli Giuseppe e Antonio, che eredita lo scettro del clan di famiglia quando non ha ancora neanche compiuto la maggiore età. Gli affiliati sono i suoi amici di sempre, quelli cresciuti insieme a lui e ai suoi fratelli e con i quali hanno condiviso partite a calcetto e serate in discoteca. Giovani qualunque, cresciuti nel rione in cui la famiglia De Martino ha costruito la sua roccaforte, alcuni incensurati, altri con piccoli precedenti a carico, ma con nessuna esperienza in materia di malavita. Tra loro c’è perfino chi aveva un lavoro. Quei giovani si ritrovano a rispondere alla chiamata alle armi affascinati e galvanizzati dall’idea di marcare da protagonisti la scena camorristica del quartiere in cui vivono, forti del grande ascendente che la carismatica figura di Antonio De Martino detto “XX” ha sempre sortito su di loro. Un picchiatore temuto, un killer spietato, un camorrista dal sangue freddo al quale è meglio non pestare i piedi, ma anche un giovane capace di accaparrarsi quel tenore di vita al quale quei giovani guardano come una chimera, fatto di sfarzi, eccessi, lusso. Poco importa se lo status attuale di Antonio De Martino sia quello di un detenuto ergastolano. A maggior ragione, quei ragazzi cresciuti nel rispetto della sua ombra, si sentono in dovere di emularne le gesta per dimostrare di essere meritevoli dell’attestato di stima indirizzatogli dalla famiglia De Martino.
In barba a questa logica, a marzo del 2021, nel rione-bunker dei De Martino viene ucciso il 29enne Giulio Fiorentino, da tutti indicato come “il fidato” – il braccio destro – di Salvatore De Martino. Nello stesso agguato, resta ferito anche il 23enne Vincenzo Di Costanzo. Durante la tarda serata di sabato 13 marzo, mentre sono seduti su una panchina in via Esopo, vengono sorpresi dall’incursione dei killer del clan rivale. I due vengono travolti da una pioggia di proiettili. Per Giulio Fiorentino, ex pescivendolo, non c’è nulla da fare, mentre Di Costanzo resta ferito. Uno dei proiettili però, gli perfora un testicolo e i medici dell’ospedale del Mare di Ponticelli sono costretti ad asportarlo.
Un agguato che matura nell’ambito della faida con i De Luca Bossa-Minichini-Casella che ha animato a più riprese le strade del quartiere di Napoli est nel corso del 2021. Una guerra che ha fatto registrare l’escalation più violenta nel mese di maggio con l’esplosione di ben tre ordigni artigianali a distanza ravvicinata.
Anche tra le fila del clan costituito dalle vecchie famiglie d’onore del quartiere si registra la presenza di giovani leve le cui vite sono state marchiate in maniera indelebile dalla camorra nel corso dell’anno che sta per volgere al termine.
Nicola Aulisio, giovane rampollo del clan Casella, arrestato all’età di 19 anni, accusato di aver partecipato a due degli omicidi che hanno scandito le fasi salienti della faida contro gli “XX”.
Luigi Austero, classe 1995, reggente del clan Minichini-De Luca Bossa-Casella in seguito al valzer di arresti che hanno concorso ad indebolire notevolmente il clan, arrestato con l’accusa di appartenere al gruppo di attentatori che lanciò una bomba dal cavalcavia della tangenziale che sovrasta il rione-bunker del clan De Martino.
Oltre ad Aulisio ed Austero, per tantissimi altri giovani appartenenti ad entrambe le fazioni, nel corso del 2021 si sono aperte le porte del carcere.
Il clan De Luca Bossa, difficilmente dimenticherà il 2021. L’anno in cui la camorra gli ha inflitto un colpo duro, durissimo. Indelebile.
L’assassinio di Carmine D’Onofrio, 23enne incensurato e figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, resta probabilmente il fatto di sangue che più di ogni altro ha sconvolto e turbato la coscienza sociale di Ponticelli.
Un giovane giustiziato sotto casa, davanti agli occhi attoniti della compagna al nono mese di gravidanza e che pochi giorni dopo ha messo al mondo il bambino che porta lo stesso nome di quel padre che non ha mai conosciuto. Non solo per questo nella storia di Carmine D’Onofrio c’è tutta la desolazione dei giovani “neet” di Ponticelli.
Saranno gli inquirenti ad accertare le motivazioni che hanno spinto i sicari del clan De Micco – attualmente egemone a Ponticelli – a freddare il figlio di Peppino De Luca Bossa, seppure da diversi mesi, nei rioni in odore di camorra del quartiere, circola con insistenza un rumors secondo il quale D’Onofrio e un altro giovane contiguo al clan De Luca Bossa, avrebbero piazzato la bomba esplosa lo scorso settembre nei pressi dell’abitazione del boss Marco De Micco. Uno sgarro che avrebbe pagato con la vita.
Una vita da ragazzo normale, vissuta nell’inconsapevolezza di essere il figlio di un boss della camorra.
Una vita fatta di teatro, attività parrocchiale, calcetto, amici. A stravolgere l’equilibrio arriva quella rivelazione. Poco più che maggiorenne, Carmine D’Onofrio scopre la vera identità di suo padre e inizia a frequentarlo. Cambia abitudini, si discosta dagli amici della parrocchia, sui social si firma con la sigla “D.L.B.”
La storia di Carmine D’Onofrio insegna quanto è facile perdersi per i giovani che vivono ai margini delle periferie come Ponticelli.
Sullo sfondo, a fare da collante tra una fitta trama di episodi di cronaca, s’intravede la figura di un boss che ha esordito nelle vesti di aspirante leader quando era un ragazzo. In pochissimo tempo è riuscito, dal nulla, a fondare il suo clan. Grazie ad una personalità molto carismatica ha saputo far breccia nei cuori di tantissime “neet” che vedono nell’affiliazione e nel senso d’appartenenza a quel clan fondato da un ragazzo senza nè arte nè parte come loro, un principio ispiratore in grado di motivare le loro giornate. Dopo un decennio trascorso in carcere, quel ragazzo, diventato ormai un uomo, è tornato il libertà lo scorso marzo e nel giro di pochi mesi è riuscito nuovamente a conquistare il controllo del quartiere.
Classe 1984, a dispetto dei suoi 37 anni, la figura di Marco De Micco sta andando incontro ad un perenne processo di beatificazione, soprattutto da parte dei “neet” che in lui continuano a vedere l’unica alternativa possibile per dare un senso alle loro giornate.
L’inizio della seconda era del clan De Micco capeggiato da Marco De Micco detto “Bodo” rappresenta l’evento più eclatante e significativo avvenuto nel corso del 2021 a Ponticelli, sul fronte camorristico.