Lunedì 24 gennaio, su uno dei canali della televisione pubblica tedesca ARD è andato in onda il documentario “Wie Gott uns schuf” (“Come Dio ci ha creati”) in cui 100 persone che lavorano a vario titolo per la Chiesa e le istituzioni cattoliche fanno coming out, rischiando però con questa loro esposizione pubblica il licenziamento: un licenziamento che sarebbe legittimo in base all’autonomia garantita dalla Costituzione tedesca alla Chiesa cattolica. Contemporaneamente al documentario, 125 persone che collaborano con la Chiesa e che sono credenti hanno lanciato l’iniziativa #OutInChurch chiedendo la fine della discriminazioni contro le persone LGBT+.
Il documentario – che si può vedere qui in tedesco, e che dura 60 minuti – è stato realizzato dal giornalista investigativo Hajo Seppelt dopo quasi dieci anni di indagini assieme a Katharina Kühn, Peter Wozny e Marc Rosenthal. Le persone che si espongono nel documentario sono sacerdoti, funzionari amministrativi, dipendenti di varie diocesi, insegnanti, educatori e educatrici, assistenti sociali o professionisti del settore medico e sanitario: tutti e tutte sono credenti e lavorano per la Chiesa cattolica tedesca.
Nel documentario raccontano la loro storia, fatta di profonde sofferenze e decenni di doppie vite. Allo stesso tempo, mostrano un sistema basato su intimidazioni, minacce e paura. In Germania, infatti, ai dipendenti e alle dipendenti delle istituzioni cattoliche si applica un diritto del lavoro speciale, stabilito dalla Chiesa stessa, che prevede dei doveri di lealtà. Firmando il contratto di lavoro, queste persone si sono cioè impegnate a vivere secondo i princìpi della fede e della morale cattolica, compreso quello che riconosce esclusivamente i cosiddetti “legami secondo natura”, cioè tra un uomo e una donna.
Tali doveri di lealtà devono essere seguiti non solo sul luogo di lavoro, ma anche nella vita privata. Le relazioni non eterosessuali o i matrimoni omosessuali contraddicono la dottrina della Chiesa: di conseguenza, l’orientamento sessuale o il fatto di essere persone non binarie, queer o trans può essere un legittimo motivo di licenziamento.
Le persone intervistate raccontano di vivere in una tensione costante, nella paura di essere scoperte e di perdere il lavoro. Per molti e molte di loro, lasciare la Chiesa e cambiare lavoro sarebbe stato più facile, ma hanno scelto di provare a cambiare la Chiesa stessa a partire da questa azione collettiva: «Noi siamo qui, proprio come Dio ci ha creati!», dicono.
Lunedì 24 gennaio, contemporaneamente all’uscita del documentario, è stata lanciata anche la campagna #OutInChurch: 125 dipendenti LGBT+ della Chiesa cattolica, molti dei quali compaiono nel documentario, hanno fatto coming out raccontando la loro storia e lanciando un appello per una “Chiesa senza paura”, una Chiesa cioè in cui le persone possano vivere la propria identità in modo «aperto e onesto». Nel manifesto pubblicato sul sito della campagna in dodici lingue, scrivono:
«Eccoci! Di noi si è parlato tanto: adesso prendiamo la parola in prima persona.
“Noi” vuol dire collaboratori e collaboratrici – a tempo pieno, volontari/e, potenziali, non più in attività – della Chiesa cattolica. (…) Tra le altre cose, ci identifichiamo come lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali, queer e persone non binarie. (…) Ciò che ci unisce è: siamo sempre stati parte della Chiesa, e oggi contribuiamo a progettarla e a caratterizzarla».
Nel manifesto spiegano che la maggior parte di loro ha sperimentato «con frequenza la discriminazione e l’emarginazione anche all’interno della Chiesa»:
«Da parte del magistero della Chiesa si sostiene, tra l’altro, che noi “non siamo in grado di costruire relazioni corrette” con altre persone, che a causa delle nostre “tendenze oggettivamente disordinate” veniamo meno alla nostra natura umana e che le relazioni omosessuali “non possono essere riconosciute come facenti parte dei piani rivelati di Dio”.
Alla luce delle conoscenze provenienti dalle scienze teologiche e dalle scienze umane, affermazioni di questo tipo non sono più accettabili o discutibili. Attraverso di esse si diffamano l’amore, l’orientamento, il genere e la sessualità queer e si priva di valore la nostra personalità.
Una discriminazione come questa rappresenta un tradimento del Vangelo ed è contraria alla missione evangelica della Chiesa, che consiste nell’essere “segno e strumento per la più intima unione con Dio come per l’unità dell’umanità intera”».
Il gruppo ha avanzato sette richieste precise, tra cui la possibilità di poter lavorare nella Chiesa apertamente e senza paura, la modifica del diritto del lavoro e l’assunzione, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, della responsabilità delle «molte sofferenze nei suoi rapporti con le persone LGBTIQ+»:
«Alcune persone tra noi conoscono situazioni in cui vescovi, vicari generali o altre persone con ruoli direttivi le hanno costrette a tenere segreto il loro orientamento sessuale e/o la loro identità di genere. Soltanto a questa condizione è stato loro concesso di rimanere in servizio nella Chiesa. In questo modo si è stabilito un sistema basato sul silenzio, sulla doppia morale e sulla mancanza di sincerità. Tutto ciò produce una gran quantità di effetti tossici, induce vergogna e fa ammalare; può influenzare negativamente la relazione personale con Dio e la spiritualità personale.
(…) Con tutte queste richieste, facciamo oggi, insieme, il passo per uscire dall’ombra. Lo facciamo per noi stessi e lo facciamo in solidarietà con altre persone LGBTIQ+ all’interno della Chiesa Cattolica, che non hanno (ancora) o non hanno più la forza di farlo. Lo facciamo in solidarietà con tutte le persone che sono esposte a stereotipi ed emarginazione attraverso sessismo, rifiuto, antisemitismo, razzismo e tutte le altre forme di discriminazione.
Ma lo facciamo anche per la chiesa. Perché siamo convinti che solo l’azione nella verità e nell’onestà rende giustizia a ciò per cui la chiesa dovrebbe esistere: la proclamazione del messaggio gioioso e liberante di Gesù. Una chiesa che ha al suo centro la discriminazione e l’esclusione delle minoranze sessuali e di genere deve accettare che le si chieda se, nel farlo, può fare riferimento a Gesù Cristo.
(…) La lotta per l’uguaglianza e contro la discriminazione non può essere lasciata solo nelle mani delle minoranze emarginate. Riguarda tutti».
Numerose associazioni cattoliche, tra cui soprattutto quelle composte da donne cattoliche tedesche e giovani, hanno sostenuto e firmato l’iniziativa.