Giorgia Soleri rompe il silenzio e racconta in un monologo la sua esperienza con una “malattia invisibile”. L’influencer e fidanzata di Damiano dei Maneskin ha affrontato il discorso per diramare un messaggio volto a sensibilizzare rispetto alla vulvodinia, la malattia con la quale convive da diverso tempo, ospite di una trasmissione televisiva: Tonica, il late show musicale di Rai2 condotto da Andrea Delogu Lo Soleri è stata ospite nel corso della giornata internazionale delle donna.
Di seguito il contenuto del suo monologo:
“L’anno in cui ho cominciato a stare male è stato l’anno in cui ho cominciato a lavorare. L’anno del primo tatuaggio, l’anno della scoperta del sesso: avevo 16 anni. Da allora sono sempre stata accompagnata dal dolore come un’ombra.
Ci sono stati anni in cui mi svegliavo con il dolore, andavo a scuola (quando ci andavo) con il dolore, mangiavo con il dolore, andavo a letto con il dolore. Il più delle volte non riuscivo a dormire per il dolore. È stato il mio compagno più devoto: silenzioso ma sempre presente. Ossessivo e possessivo, tanto da allontanare tutto e tutti, come nella più classica delle relazioni tossiche.
Mi sono sentita dire di tutto: che ero pazza, che ero stressata, che ero ansiosa, che mi inventavo i sintomi, magari per non fare sesso, dicevano. E in tanti momenti sono arrivata a crederci e a considerare il dolore parte di me: Giorgia è il dolore e il dolore è Giorgia. Una cosa sola. Passavo le nottate cercando di espellere un goccio di urina intriso di sangue, che mi lacerava fino allo stomaco, con le viscere in fiamme. Andavo a letto stremata, sperando di non svegliarmi al mattino, perché quella non era vita.
Non so più nemmeno quante cose ho perso per colpa del mio dolore. Mi hanno visto decine di specialisti, sono stata ricoverata in decine di ospedali. Sono svenuta per strada. Tutto questo è durato otto lunghi anni fino a quando, due anni fa, questo dolore finalmente ha preso un nome e si è materializzato per tutti. Per me è sempre stato concreto, di invisibile c’era solo il nome: vulvodinia, contrattura pelvica e neuropatia del pudendo, anche detto: dolore pelvico cronico.
Vi sembrerà strano ma ho pianto di gioia: per tanti il momento della diagnosi è una condanna, per me è stata una liberazione, perché è reale e significa anche poter ricevere una terapia. Non so se guarirò mai, ma una cosa è certa: un mostro quando lo guardi in faccia fa meno paura. Stasera sono qui, rinunciando alla mia privacy come tante altre persone e mettendo il mio dolore alla mercè di chiunque solo per chiedere a gran voce un diritto: il riconoscimento sociale, politico, medico ed economico di una malattia ancora sottovalutata ma estremamente invalidante come la vulvodinia.”