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Camorra Ponticelli: la politica del clan De Micco suscita malcontento tra i commercianti e i malavitosi

Luciana Esposito di Luciana Esposito
23 Marzo, 2022
in Cronaca, In evidenza
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Camorra Ponticelli: la politica del clan De Micco suscita malcontento tra i commercianti e i malavitosi
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2_672-458_resize-1Uno scenario orfano di spari ed azioni eclatanti cela le fitte trame del malaffare imbastite dal clan De Micco a Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli che ha ritrovato un equilibrio camorristico ben definito, dopo mesi particolarmente concitati sul fronte criminalità.

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In un clima di illusoria serenità, il clan dei “Bodo”, – tornato alla ribalta dopo una temporanea uscita di scena maturata a novembre del 2017 per effetto di un blitz che fece scattare le manette per le figure apicali dell’organizzazione – impone con crescente veemenza la propria egemonia a Ponticelli, introducendo una serie di dictat che stanno suscitando vivo malcontento su più fronti.

In primis, tutti sono liberi di fare tutto, a patto che al clan venga corrisposta una percentuale sui guadagni derivanti dai business illeciti.

Sono obbligati a pagare una “tassa” al clan tutti coloro che traggono proventi da attività illecite: spacciatori, rapinatori, ladri, contrabbandieri, i cosiddetti “magliari”. Un’imposizione che ha suscitato l’ira di questi ultimi, in particolare. I “veterani” del mestiere che da decenni lavorano lontano da Napoli e battono perfino città estere, molto spesso anche rischiando la vita, mal tollerano che il boss di Ponticelli pretenda di riscuotere una percentuale sulle loro attività. Se è vero che in passato questo termine veniva utilizzato per indicare i venditori ambulanti di articoli contraffatti o rubati o di scarsa qualità, che venivano abilmente spacciati per prodotti pregiati, è altrettanto vero che nel corso degli anni “i magliari” hanno affinato l’arte della truffa, diventando degli autentici businessman in grado di garantirsi ingenti guadagni, pur rischiando di finire invischiati in guai seri e per questo storicamente appartenenti alla categoria degli “immuni” al pizzo della camorra. Soprattutto per questo la rivisitazione di questa antica regola del codice d’onore della malavita da parte del clan De Micco ha suscitato non poco scalpore, generando accese polemiche tra i rappresentanti della categoria chiamata in causa. Una sorta di “declassamento” che, per giunta, sminuisce “l’arte” e il “talento” dei truffatori, collocandoli sulla stessa scala malavitosa dei criminali comuni.

Un malcontento condiviso anche dai soggetti dediti alla microcriminalità e che ritengono che non valga la pena di rischiare di finire in carcere per compiere una rapina o un furto, se costretti a spartire il bottino con il nuovo leader del quartiere per una mera questione di quieto vivere che così rifocilla le finanze del clan, senza esporsi a nessun tipo di pericolo. Se non quello insito nel crescente malcontento tra una nutrita frangia di malavitosi. Tanto basterebbe a spiegare la sensibile riduzione di episodi di microcriminalità che vede i malavitosi scendere in campo solo per accaparrarsi lauti bottini, come accaduto lo scorso 6 marzo, quando un commando composto da 4 rapinatori ha fatto irruzione in un ristorante del confinante comune di Cercola per sottrarre il rolex ad un imprenditore della zona intento a pranzare. 

Inoltre, nel mirino dei De Micco sono finite anche le attività commerciali ed imprenditoriali del quartiere e dei comuni limitrofi. 

Non è un segreto, infatti, che da diverso tempo “i Bodo” saccheggiano i negozi – soprattutto quelli d’abbigliamento – sottraendo merce che non viene pagata. In sostanza, ai commercianti non viene chiesto di pagare il pizzo, ma di corrispondere al clan “un regalo” sotto forma di merce. Una forzatura che ha suscitato fin da subito il vivo disappunto degli esercenti finiti nel mirino della cosca, già fortemente penalizzati dalla pandemia e dalla crisi economica che ha segnato gli ultimi due anni e scaturita dalle limitazioni introdotte per contenere i contagi da coronavirus.

Probabilmente, anche per questo motivo, dopo aver spremuto come un limone i commercianti del quartiere, il clan ha deciso di estendere questo modus operandi ben oltre i confini di Ponticelli, inscenando così un’autentica azione dimostrativa a danno di alcuni negozianti del comune di San Sebastiano al Vesuvio dove, alcune delle attività commerciali più rinomate, sarebbero finite nel mirino del clan che, per l’ennesima volta, avrebbe sottratto ingenti quantitativi di merce senza saldare il conto.

Un’azione eclatante, voluta anche per “mostrare i muscoli” e per piegare alla volontà del clan anche un contesto borghese ed elitario, come quello che caratterizza il comune vesuviano, ben lontano dal degrado che dilaga tra i rioni popolari di Ponticelli, seppure confinante con quella realtà.

Un episodio che sottolinea la spavalderia del clan dei tatuati, sempre più in preda ad un dilagante delirio d’onnipotenza e che mira a marcare il controllo del territorio soprattutto servendosi di azioni che assumono una connotazione camorristica ben precisa.

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