Alessio Bossis non era affiliato al clan De Luca Bossa e i De Martino si sarebbero dissociati dai De Micco.
Questo lo scenario camorristico suggerito dall’omicidio del 22enne Alessio Bossis, avvenuto nel tardo pomeriggio di lunedì 24 ottobre nell’area parcheggio di “In Piazza” in via Monteoliveto a Volla.
Un “tutti contro tutti” che si era intravisto nelle settimane precedenti all’omicidio di Bossis e che trova conferma nell'”assalto” insistito alla roccaforte dei De Martino e in altri episodi salienti avvenuti di recente.
Se nelle ore successive all’agguato del giovane Bossis sembrava quasi scontato che su quel delitto vi fosse la firma dei “Bodo”, in virtù degli elementi emersi negli ultimi giorni, intorno al cadavere del 22enne aleggiano tutt’altre ipotesi investigative.
In primis, appare ormai certo che Bossis era entrato in rotta di collisione con i De Luca Bossa già da quando era ancora in carcere per dissidi di poco conto nati con Christian Marfella, diventati poi insanabili quando i due sono sono stati scarcerati.
Bossis mirava a fondare un sodalizio autonomo e questo impensieriva e non poco i De Luca Bossa, ma non solo loro.
L’equilibrio precario che si registrava tra le fila del clan De Micco-De Martino, all’indomani dell’assassinio di Carlo Esposito, unitamente ad attriti recenti, avrebbe portato anche questi ultimi due clan a rompere gli accordi che per lungo tempo si sono sentiti costretti a rispettare.
Se all’indomani dell’assassinio di Kallon – questo il soprannome di Esposito – i De Martino si sono visti costretti a soccombere, accettando la pax armata in attesa del momento di forza utile per contrastare “i finti alleati”, allo stato attuale lo scenario sembra narrare tutt’altra realtà dei fatti.
L’alleanza tra i due clan, ad onor del vero, fu imposta dalle circostanze all’orgoglio ras Francesco De Martino che all’indomani dell’assassinio del nipote Massimo Imbimbo maturato proprio per mano dei De Micco, non ha potuto fare altro che deporre le armi e stringere la mano a quel nemico troppo forte da abbattere per evitare di soccombere.
Di recente, contestualmente all’arresto di Marco De Micco alla scarcerazione proprio di Francesco De Martino, più elementi preannunciavano che il momento della scissione fosse dietro l’angolo. In primis, la scelta del boss Marco De Micco di designare come reggente del clan un soggetto estraneo alle dinamiche camorristiche ponticellesi e più vicino ai Mazzarella, snobbando Salvatore De Martino, il più piccolo dei tre figli del ras Francesco, l’unico ancora in libertà. Antonio De Martino, ribattezzato “XX”, killer spietato del clan De Micco, condannato all’ergastolo proprio per i delitti commessi per favorire l’ascesa del clan De Micco a Ponticelli, così come suo fratello Giuseppe, sono attualmente detenuti. La scarcerazione Di Francesco De Martino, inoltre, è stata gestita come “un evento di poco conto” dai De Micco che hanno relegato gli alleati nei rioni sotto la loro sfera egemone, escludendoli quasi del tutto dalla vita attiva del clan. Dalla sua, di contro, Francesco De Martino ha dato prova di essere un ras cinico e calcolatore. Consapevole di essere sotto i riflettori delle forze dell’ordine e dei vertici del clan, all’indomani del ritorno in libertà, ha optato per una condotta pacata. Inoltre, per fugare anche la più labile ombra di sospetto, si è fatto tatuare dietro la nuca una tatuaggio che a Ponticelli è sinonimo di “fedeltà, onore e rispetto”: “Bodo”, il soprannome del boss Marco De Micco che gli affiliati del clan sono soliti scalfirsi sulla pelle proprio per rilanciare l’attaccamento e il servilismo al clan da lui fondato.
Un modus operandi che non è di certo passato inosservato agli occhi degli spettatori più attenti che soprattutto all’indomani dell’omicidio di Kallon si aspettavano una brusca scissione tra le due compagini.
Carlo Esposito, il 30enne che ha esordito tra i ranghi della malavita al soldo del clan De Micco, ma in seguito alla sua scarcerazione si era legato sentimentalmente alla sorella di Ciro Uccella, fedelissimo del clan De Martino, motivo per il quale la sua morte, maturata per mano di Anthony Pipolo, contiguo al suo stesso clan, poi diventato collaboratore di giustizia, poteva creare le premesse utili per introdurre una rottura definitiva e insanabile tra le due organizzazioni.
Se inizialmente, la smentita della scissione tra i De Micco e i De Martino fu affidata ai social network, allo stato attuale i messaggi che giungono dal fronte di guerra ponticellese dove è in corso l’ennesima faida tra clan per il controllo del territorio, suggeriscono tutt’altro.
Verosimilmente, in un primo momento i due clan hanno privilegiato gli interessi e gli affari, unendo le forze per fronteggiare il nemico comune, quei De Luca Bossa da sempre intenzionati a contrastare l’ascesa di questi ultimi per conquistare la leadership di Ponticelli, velleità agognata fin dai tempi De Sarno che la cosca del Lotto O ha continuato a cullare, malgrado i colpi pesanti inflitti dai rivali in termini di morti pesanti.
I De Micco non avrebbero avuto interesse a contrastare l’ascesa di Bossis, a loro per giunta imparentati in quanto il 22enne era il cugino della moglie di Salvatore De Micco, fratello di Marco. Un vincolo di parentela che avrebbe garantito ai De Micco la scontata possibilità di aprire una trattativa scevra di armi per negoziare un accordo prolifero per entrambi. Un’ipotesi ancor più rafforzata dal fatto che uno dei fedelissimi di Bossis, fino a pochi mesi fa, era al soldo del clan De Micco.
Le indiscutibili qualità camorristiche palesate da Bossis, unitamente al carisma da leader, avrebbero portato i vertici del clan De Micco a preferirlo al giovane Salvatore De Martino, di contro noto negli ambienti camorristici per la tempra assai più mite. La recente scarcerazione del boss Francesco De Martino non avrebbe inciso in tal senso: il ras ormai troppo attempato per stare al passo con un modello camorristico caratterizzato soprattutto dalla giovanissima età dei suoi interpreti, non avrebbe potuto apportare un contributo determinante alla causa dei Bodo che in quella paranza di giovani che attorniava il giovane Bossis avrebbe visto un potenziale assai più appetibile. Soprattutto perchè sarebbe stato in grado di sottrarre giovani leve ai De Luca Bossa in virtù del fatto che “i vollesi” in forza al clan del Lotto O erano tutti amici di Bossis, più che ben disposti a voltare le spalle a questi ultimi per appoggiare l’ascesa del 22enne.
Motivo per il quale, secondo i ben informati, sull’assassinio di Bossis sarebbe scalfita la doppia “X”, simbolo distintivo del clan De Martino che giustiziando il 22enne avrebbe decapitato un potenziale focolaio camorristico nascente e al contempo avrebbe indirizzato un temibile messaggio agli ex rivali, finalizzato a fargli intendere che sono in grado di colpire chiunque, ovunque e in qualsiasi momento, in virtù del fatto che il delitto è maturato a Volla, e non a Ponticelli.