Erano apparse tra i frame di un video pubblicato sui social network, le ultime parole che Alessio Bossis avrebbe rivolto ad uno dei suoi amici più fedeli, prima di morire.
Il 22enne ucciso a Volla lo scorso 24 ottobre, nel parcheggio dell’area ristoro “In Piazza” in via Monteoliveto, mentre era in compagnia di altre due persone, suoi amici (e sodali, secondo i ben informati) che non hanno potuto fare niente per salvargli la vita.
Secondo quanto riportato in un video pubblicato sul profilo TikTok di uno dei due giovani che hanno assistito agli ultimi istanti di vita di Bossis, il 22enne gli avrebbe chiesto di vendicare la sua morte. Queste le ultime parole che gli avrebbe rivolto, prima di morire. Una promessa rilanciata dal suo amico più devoto sui social network, annunciando che non avrebbe mai dimenticato quelle parole, garantendogli un sereno riposo eterno. Quel frame è stato poi rimosso poco dopo la pubblicazione. Troppo esplicito il contenuto anche per gli impavidi interpreti della camorra 2.0, quella che vede i clan fronteggiarsi soprattutto sui social network, a suon di sfottò, intimidazioni, minacce.
Un messaggio che in ogni caso annuncia le intenzioni degli “eredi” del clan Bossis.
Un’eredità pesante, quella lasciata da Bossis ai suoi fedelissimi: un gruzzolo di giovanissimi, tra i quali figurano anche minorenni, prettamente originari di Volla, comune di residenza del 22enne al confine con il quartiere Ponticelli. Dopo un breve trascorso al soldo dei De Luca Bossa, in seguito alla scarcerazione di Bossis, quelle giovani reclute hanno deciso di appoggiare l’amico di sempre, complice un piano bellico più affascinante, ma assai più pericoloso, così come comprova la morte violenta del leader che continua ad ispirare le gesta dei suoi coetanei, così come comprovano dozzine di video-tributo che si alternano incessantemente da giorni: carrellate di foto che ritraggono il giovane Bossis mentre era alle prese con le scene di ordinaria quotidianità in cui molti suoi coetanei possono rispecchiarsi, unitamente a canzoni e messaggi struggenti.
“Il segreto del suo successo” è tutto lì: tra i giovani di Ponticelli la storia di Alessio Bossis era nota. Figlio di una famiglia onesta, benestante ed estranea alle dinamiche camorristiche, nato “sul versante giusto” della società, Bossis aveva scelto di percorrere “la strada sbagliata”, non di certo per ragioni di carattere economico. Tutti sapevano che avrebbe potuto ambire ad una vita agiata e priva di pericoli, seguendo le orme del padre, affiancandolo nella gestione dell’azienda di famiglia, così come avrebbero voluto i suoi genitori che fino all’ultimo istante hanno sperato che potesse rinsavire e decidere di voltare le spalle alle brutture e alle insidie della camorra. Invece, quelle stesse logiche, lo hanno sopraffatto, un pomeriggio qualunque, diventato “l’ultimo” della vita del 22enne, “il primo” per i suoi eredi.
Solo il tempo rivelerà se effettivamente la morte di Bossis avrà dato il via ad una nuova era camorristica: la “stesa” avvenuta in via Eduardo Scarpetta la sera del 31 ottobre, potrebbe introdurre questo scenario.
Da tempo, in quella zona in particolare, le incursioni di un commando di giovani incappucciati erano state segnalate dai residenti in zona con un certo allarmismo, anche nei giorni precedenti all’omicidio Bossis. A volte sparano, altre volte no. L’intenzione appare chiara: quelle incursioni mirano a colpire un bersaglio, appartenente al clan rivale. Un bersaglio finito nel mirino del commando da diverse settimane. La morte del 22enne potrebbe concorrere solo ad imbruttire i toni e quei due colpi esplosi puntando l’arma al cielo lo scorso 31 ottobre potrebbero comprovarlo. Spari di stizza, mista a collera e rancore. Non riuscendo a stanare il bersaglio umano, quella mano ha esploso dei colpi verso il cielo.
Forse per far sentire ai rivali tutto il dolore che gli pulsa nel cuore o forse per dimostrare all’amico morto appena una settimana prima che sono pronti a vendicarlo, come promesso.
L’omicidio di Alessio Bossis è maturato al culmine di quel mix letale di delirio d’onnipotenza e brama di potere, da lui stesso innescato e nel quale sono confluiti i sogni di altri ragazzi, i cosiddetti “predestinati”, quelli che sembrano condannati ad intraprendere quella strada, solo perchè nati nei cosiddetti “contesti difficili”. Una morte violenta che non ha sedato le ambizioni dei suoi amici più fedeli, quello che con lui hanno condiviso tutto: i momenti di svago e soprattutto quel disegno camorristico, destinato a sfociare nella nascita del clan Bossis. Un sogno covato dal 22enne, destinato a ricoprire il ruolo di boss del clan al quale avrebbe dato il suo cognome, già da prima di finire in carcere per “la stesa” in piazza Trieste e Trento, nel cuore della città di Napoli. Durante la detenzione, alcuni dissidi di poco conto sorti con Christian Marfella, non hanno fatto altro che velocizzare quel processo che aveva già preso il via in passato, portando Bossis a decidere di allontanarsi dai De Luca Bossa. Scelta condivisa anche dai suoi amici di sempre, quando la scorsa primavera il 22enne è tornato in libertà, seppure sottoposto al divieto di allontanarsi da Volla, suo comune di residenza. Quella manciata di giovanissimi era riuscita a conquistare un ruolo di spessore nel clan De Luca Bossa, complici gli arresti delle figure di primo ordine, tuttavia hanno comunque deciso di seguire l’amico di sempre, condividendo quel piano che dall’estate scorsa è diventato un sogno condiviso.
Il minorenne che era in compagnia di Bossis quando è stato assassinato è il 17enne arrestato lo scorso luglio, insieme ad altri tre giovani accusati di essere gli artefici del raid in viale Margherita, ma poi scarcerato pochi giorni dopo. I frame delle immagini di videosorveglianza che hanno inchiodato gli altri tre membri del commando in maniera inequivocabile, non hanno fornito elementi altrettanto schiaccianti per il 17enne che è stato così scarcerato pochi giorni dopo.
P.P., legatissimo a Bossis, si appresta a raggiungere la maggiore età a breve e proprio con l’amico che ha visto soccombere sotto la raffica di spari esplosa dai rivali, stava organizzando la sua festa di 18 anni. Un ragazzo che a dispetto della sua giovane età è riuscito a conquistarsi una fama temibile negli ambienti in odore di camorra di Ponticelli. Impavido, violento e con una buona dimestichezza nel maneggiare le armi. A lui Bossis avrebbe consegnato il suo testamento morale, chiedendo vendetta.
Bossis e i due amici che lo hanno accompagnato a quell’imprevedibile appuntamento con la morte non erano soliti frequentare quel luogo. Si erano recati lì per incontrare qualcuno: le indagini in corso concorreranno a chiarire chi e perchè, giungendo così molto probabilmente a ricostruire la dinamica del delitto, risalendo a mandanti ed esecutori. Tutte informazioni verosimilmente già in possesso dei due amici che erano in compagnia di Bossis e che introducono uno scenario assai chiacchierato negli arsenali della camorra ponticellese: a tradire il 22enne con aspirazioni da boss potrebbe essere stato proprio uno dei giovani amici di cui più si fidava. Ne sono certi i ben informati in materia: Bossis non avrebbe mai commesso una simile imprudenza per quanto potesse sentirsi più sicuro di agire indisturbato lontano da Ponticelli. Motivo per il quale si vocifera che i reduci del suo mancato clan sarebbero in attesa di “stanare il traditore” per riordinare tutti i pezzi di quel mosaico di morte e pianificare la vendetta.
Nel frattempo è necessario replicare rapidamente al colpo inflitto per non perdere la faccia: così come impone una regola d’oro del codice d’onore che per quanto riconduca ad un modello camorristico ormai obsoleto, sembra tutt’altro che passata di moda.