“Ciao Luciana buona sera per prima cosa volevo farti i complimenti per il tuo giornale e per aver scritto sul mio conto sempre la verità per quanto riguarda il mio ruolo di padre che tuttora faccio cn le mie figlie nel trasmettergli i valori giusti e farli andare a scuola, la prima tra poco si laurea in giurisprudenza cn ottimi voti, però una cosa voglio dirtela su napolitan art. del 11 settembre ho letto prima che io avrei avuto supporto psicologico cosa non vera ne che avrei tentato suicidio e aggiungo ne che potrei mai prendere psicofarmaci proprio perché ho altre due figlie da pensare e oggi un bellissimo nipotino Carmine ho voluto precisare solo perché mi sono meravigliato avendo stima nei tuoi riguardi per il tuo notiziario credimi ciao ti voglio salutare buona serata ti seguo sempre”: inizia così la lunga conversazione intercorsa tra Giuseppe De Luca Bossa, figura apicale dell’omonimo clan operante a Ponticelli e la giornalista Luciana Esposito, direttrice del giornale online Napolitan.it.
Una conversazione che risale allo scorso 17 settembre, quando il ras di Ponticelli era stato scarcerato da pochi giorni ed era ignaro del fatto che la sua libertà sarebbe durata all’incirca un paio di mesi.
Un messaggio dal quale trapela un’impellente necessità: preservare credibilità, tempra ed onore. Malgrado nei rioni in odore di camorra di Ponticelli, si fosse rapidamente diffusa la notizia del suo tentativo di suicidio nei giorni successivi all’omicidio di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa ucciso in un agguato ad ottobre del 2021, e a dare conferma del momento di debolezza vissuto dal padre furono anche amici e parenti vicini al clan del Lotto O di Ponticelli, il boss tornato in libertà mira a cancellare quel neo, quel segno di umana fragilità che rischiava di minare la sua credibilità agli occhi delle reclute del clan e ancor più a quelli dei rivali.
Contestualmente alla scarcerazione di Giuseppe De Luca Bossa, la faida in corso tra i reduci del suo clan e i De Micco-De Martino, raggiunse il punto più becero con il raid denigratorio indirizzato ai De Micco e rivendicato dai De Luca Bossa con un video su TikTok.
Episodi dai quali Giuseppe De Luca Bossa prende le distanze, chiarendo con queste parole la sua posizione: “sto cercando di ricostruirmi un lavoro visto che già prima che mi prendevano lo avevo fatto nel settembre del 2020. Già qualche buona idea ce l’ho, poi ti farò sapere se ti fa piacere. Sappi che io sono una persona abbastanza seria e intelligente e adesso devo pensare alle mie figlie e al mio nipotino. Io ho pagato i miei reati e ti posso dire una cosa: non faccio parte di alcun clan, la mia generazione era un’altra. (…) Sui giornali si mette sempre la mia foto seppure non sono stato a capo di nulla con il tempo capiranno gli stessi dirigenti delle forze dell’ordine che non centro in nulla come pure non è da me mettere un cesso su un’auto, ecc…Sono di un’altra generazione.”
In riferimento all’arresto del 2020, scaturito per una tentava estorsione praticata al titolare di una concessionaria di auto di Pollena Trocchia, dichiara: “Pur non centrando mi sono ritrovato coinvolto e questo non lo farò riaccadere mai più, ho spiegato tutto ai giudici”.
Dichiarazioni in netta antitesi con quelle rese alla magistratura dai collaboratori di giustizia Tommaso Schisa, Rosario Rolletta ed Antonio Rivieccio che all’unanimità gli attribuiscono il ruolo di capo dell’alleanza imbastita dai clan di Napoli est.
Tommaso Schisa spiega che Giuseppe De Luca Bossa “è uno dei capi dell’organizzazione e ha un ruolo decisionale, insieme al “cinese”, su tutte le attività illecite del clan.“
“Ne ho sentito parlare in carcere come uno che comandava a Ponticelli insieme a suo nipote Umberto”, spiega invece Antonio Rivieccio.
“Il sistema funzionata così – dichiara invece Rosario Rolletta – quanto al settore delle estorsioni, i proventi di tale attività confluivano in una cassa comune gestita, prima da Francesco Audino ‘o cinese e successivamente, dopo il suo arresto, da Giuseppe De Luca Bossa coadiuvato da Domenico Amitrano e da Umberto De Luca Bossa.” Rolletta fornisce anche un altro importante dettaglio che conferma il ruolo cruciale ricoperto dal fratello di Tonino ‘o sicco, raccontando il malcontento esternato da Roberto Boccardi, affiliato al clan De Luca Bossa che si lamentò dell’operato di Peppino ‘o sicco con i De Martino, affermando che era arrogante e voleva decidere tutto lui, motivo per il quale dichiarò di essere disposto ad unirsi a loro.
Il ruolo di spessore ricoperto da Giuseppe De Luca Bossa viene ancora sottolineato dalla sua partecipazione al summit che ebbe luogo a Barra il 6 dicembre del 2017, pochi giorni dopo il blitz che decapitò il clan De Micco a Ponticelli. L’irruzione dei poliziotti della Squadra Mobile di Napoli consentì di identificare i presenti, interrompendo quella che verosimilmente fu la prima riunione del cartello camorristico costituito dai vecchi clan di Napoli est. Oltre a Giuseppe De Luca Bossa erano presenti i fratelli Michele ed Alfredo Minichini, Francesco Audino detto ‘o cinese, Gennaro Aprea e Antonio Boccia.
Il ruolo ricoperto da “Peppino ‘o sicco” nell’ambito del clan di famiglia e dell’alleanza è sottolineato dalle intercettazioni che ricostruiscono l’ascesa e le malefatte del cartello camorristico nato con l’intento di scalzare i De Micco da Ponticelli e i Mazzarella da San Giovanni e dalla zona di Piazza Mercato ed è stato rilanciato a suon di video sui social network fino a pochi giorni prima del suo recente arresto, avvenuto nell’ambito del blitz dello scorso 28 novembre.
Nei giorni in cui Giuseppe De Luca Bossa conversava sui social network con la giornalista Luciana Esposito per convincerla della sua estraneità alle dinamiche camorristiche, a Ponticelli serpeggiava con insistenza una notizia inquietante secondo la quale i De Luca Bossa erano intenzionati ad uccidere il giovane rampollo della famiglia De Micco, il primo discendente dell’ultima generazione, figlio di uno dei fratelli fondatori dell’omonimo clan, seppure si trattasse di un 20enne incensurato.
Giuseppe De Luca Bossa cerca di dissuadere la direttrice di Napolitan dal divulgare la notizia, consapevole del notevole malcontento che avrebbe suscitato, unitamente a scalpore ed indignazione, soprattutto tra i civili: “Allora io per come la penso io non potrei mai toccare un giovane ragazzo cosa che avrei voluto facessero anche per mio figlio, i bravi ragazzi sono anime innocenti ed io sono molto credente… se qualcuno usa il mio lutto ci saranno sicuramente le forze dell’ordine a fare chiarezza o arresti ed io sto tranquillo purtroppo nn so ne anche risponderti a sta cosa che ti hanno detto e non penso quindi secondo me faresti bene a non scriverla perchè non credo sia attendibile.“
Uno degli aspetti più suggestivi che emergono dalle conversazione intercorse con Giuseppe De Luca Bossa è la costante frequenza con la quale seguita a beatificare suo figlio Carmine D’Onofrio, equiparandolo ad un angelo, come se fosse una vittima innocente, malgrado la sua affiliazione al clan De Luca Bossa trovi ampio riscontro sul fronte investigativo. Tant’è vero che il suo omicidio sarebbe scaturito perchè identificato dal boss Marco De Micco come l’attentatore che materialmente ha piazzato la bomba esplosa nel cortile della sua abitazione a settembre del 2021. Lo stesso Carmine D’Onofrio, ignaro di essere intercettato, rivela ad una sua amica di essere stato lui a lanciare l’ordigno oltre il cancello di casa De Micco, unitamente ad un biglietto sul quale c’era scritto “Siete le palle dei De Luca Bossa”. Il 23enne figlio naturale di Peppino ‘o sicco aggiunse poi di “essere stanco di piazzare bombe”, ammettendo la sua partecipazione ad altri raid avvenuti nei mesi precedenti.
“Ricordati una cosa: da tanto peggio che c’è a Ponticelli sono il meglio, poi lo capirai da sola (…) io ho sempre dato consigli buoni non sono per il negativo”, scrive Giuseppe De Luca Bossa. Eppure, Tommaso Schisa lo indica tra i mandanti dell’omicidio di Salvatore D’Orsi detto “Polpetta”.