Il clan De Micco di Ponticelli è storicamente abituato a preservare il controllo del territorio collezionando omicidi, voluti per stroncare sul nascere le ambizioni dei clan rivali. Niente avvertimenti o “stese”: i De Micco impugnano le armi per uccidere.
Una politica intransigente e ormai ben nota, quella che contraddistingue l’operato dei cosiddetti “Bodo”.
Lo conferma l’omicidio dei fratelli Solla: il primo, quello in cui perse la vita Salvatore Solla, avvenne nel 2016. Il secondo, voluto per eliminare Bruno Solla, risale ad appena 7 giorni fa.
Entrambi contigui al clan De Luca Bossa hanno pagato con la vita le mancanze di rispetto rivolte ai De Micco rifiutandosi di sottostare alle loro imposizioni.
Un atto di irriverenza che altri, prima e dopo di loro, hanno pagato con la vita.
La scia di sangue tracciata dai De Micco nel corso degli anni, sia per imporre la propria supremazia sia per preservarla, è ricca di nomi, tra i quali spicca anche quello di Vincenzo Pace, assassinato 8 anni fa, l’11 aprile del 2015.
I killer entrano in azione nel pomeriggio in via Rossi Doria, nei pressi del “Bar Coppola”. Ad avere la peggio fu il 47enne Vincenzo Pace, mentre rimase ferito il 38enne Emanuele Cito, reale obiettivo dell’agguato.
Pace muore sul posto, raggiunto da quattro proiettili al volto e al torace, mentre Cito, sopravvive miracolosamente all’agguato. Ferito ad una spalla, viene trasportato all’ospedale Villa Betania.
Malgrado i precedenti per estorsione e spaccio di sostanze stupefacenti, non era Pace il “pezzo da 90” da stanare: questo è chiaro, fin da subito anche agli investigatori del commissariato di Ponticelli e della Squadra Mobile della Questura di Napoli ai quali vengono affidate le indagini che si concentrano subito sulla figura di Emanuele Cito detto “Pierino”.
Cito e Pace, due ex Sarno, dopo diversi anni trascorsi in carcere erano tornati a marcare la scena camorristica ponticellese insieme a Raffaele Stefanelli, figura di spicco del clan D’Amico del rione Conocal e stavano cercando di riorganizzarsi, gettando le basi per fondare un sodalizio camorristico autonomo, animato dall’intento di colpire i De Micco per appropriarsi di Ponticelli.
Fu lo stesso Emanuele Cito a fare il nome dei De Micco agli inquirenti, indicandoli come i possibili mandanti dell’agguato in cui perse la vita il suo fedele braccio destro, spiegando che quella poteva essere la loro replica in seguito ad alcuni contrasti scaturiti da motivazioni strettamente riconducibili al controllo del territorio. Nella fattispecie, Cito avrebbe praticato delle estorsioni in alcune zone controllate dai De Micco, indirizzando anche un ordigno ad un noto imprenditore del quartiere.
Ne aveva dubbi circa il coinvolgimento dei De Micco e poco dopo l’agguato subìto aveva prontamente pianificato la risposta, animato dal duplice intento di vendicare Pace e rilanciare con fermezza il piano finalizzato a scalzare i De Micco per conquistare Ponticelli. Un piano fermato dagli inquirenti perché lo stesso Cito, ignaro di essere intercettato, rivelò l’intenzione di colpire i De Micco, forte del supporto del clan radicato nel Conocal.
”Risulta che sia Cito sia pace dopo l’estinzione del clan Sarno non avevano perso i collegamenti con la criminalità organizzata ed anzi erano entrati a far parte di una nuova organizzazione operante al rione De Gasperi della quale faceva parte Raffaele Stefanelli prima di insediarsi definitivamente nel Conocal, organizzazione che era collegata sia dall’inizio con quella facente capo alla figlia D’Amico”. Questa la disamina dei magistrati circa il ruolo ricoperto da Pace e Cito nell’ambito dello scacchiere camorristico di Ponticelli.
Arrestato nel dicembre del 2009 per estorsione aggravata, mentre era in libertà vigilata, Cito prese di mira un cantiere presso il quale si stavano effettuando lavori di ristrutturazione di uno stabile. Dopo insistenti richieste, riuscì ad intascare il denaro: 50 euro, questo il bottino che l’uomo aveva estorto e che aveva ancora in tasca quando è stato tratto in arresto poco dopo, presso l’abitazione della madre, nel rione De Gasperi di Ponticelli.
La “breve parentesi” presso la casa circondariale di Poggioreale non ridimensiona le velleità di Cito che, trasferitosi nel Parco Merola di Ponticelli, recluta nuova manovalanza per tentare l’ambiziosa “scalata al potere”.
Il piano camorristico di Emanuele Cito detto “Pierino”, classe 1976, padre di 4 figli e proprietario di due cani, viene smorzato da due episodi cruciali: un mancato agguato e l’arresto.
Dopo il raid armato dell’11 aprile, costato la vita all’amico e gregario Vincenzo Pace, Cito trascorre le sue giornate standosene rintanato nel suo appartamento nel parco Merola di Ponticelli ed esce solo se e quando è strettamente necessario. Vive da “sorvegliato speciale”, pur non accantonando i suoi piani.
Ne erano consapevoli i De Micco, tant’è vero che nel maggio del 2016 architettarono un ingegnoso agguato, ideato per eliminare Cito. Al calar del sole, la sua auto parcheggiata all’interno del Parco Merola di Ponticelli fu prima scassinata e poi spintonata fino al cancello d’ingresso perennemente aperto, dove fu incendiata.
In sostanza, i De Micco simularono il furto dell’auto e la incendiarono per indurre Cito a pensare che non riuscendo a metterla in moto, in preda alla stizza, i malviventi avessero optato per quel gesto estremo.
In realtà, i “Bodo” avevano messo in atto una simulazione di furto con l’intento di indurre Cito ad allontanarsi dal suo appartamento per cercare di domare le fiamme, mentre i killer erano appostati e pronti a sparare, non appena sarebbe sceso in strada per sedare l’incendio.
Un piano che non sortisce gli effetti auspicati dai De Micco: affacciandosi al balcone, Cito intravede i killer del clan rivale nascosti dietro le auto parcheggiate nel cortile del rione e legge immediatamente la reale intenzione celata dietro quel raid incendiario, guardandosi bene dall’assecondare la logica auspicata dai Bodo per ucciderlo.
Indispettito dall’accaduto, Cito si affaccia al balcone e inizia ad indirizzare frasi ingiuriose ai rivali, consapevole di essere ascoltato dai sicari appostati per stanarlo.
Nel corso di quel rancoroso e plateale discorso sbraitato contro i rivali, Cito elogia la polizia, sostenendo che se quelle sono le gesta di cui si rende protagonista il clan egemone a Ponticelli, allora è meglio passare dalla parte dello Stato e rinnegare la malavita.
Per lo stesso motivo, nessuno degli abitanti del parco Merola, quella sera, si prese la briga di domare l’incendio che verrà placato solo dai vigili del fuoco. Restano tutti barricati in casa a sbirciare dal balcone e dalle finestre quello che sta accadendo in strada, richiamati dalle urla di Cito.
A distanza di un mese da quella “notte di fuoco”, anche il nome di Emanuele Cito finisce nell’elenco dei 94 arrestati nell’ambito dell’operazione “Delenda” volta a sgominare il clan D’Amico del Rione Conocal di Ponticelli.
Emanuele Cito, come altri 78 destinatari di quel provvedimento, ha scelto il rito abbreviato per mirare alla riduzione della pena. Da svariato tempo, nei rioni in odore di camorra del quartiere, viene annunciata la sua imminente scarcerazione.
Un fatto che se confermato, concorrerebbe ad arroventare la scena camorristica ponticellese, in un momento storico già concitato e segnato da delitti eccellenti, proprio perchè il clima che si respira attualmente non è assai dissimile da quello in cui maturò il duplice agguato al quale Cito è miracolosamente sopravvissuto e che vede i De Micco seguitare a “buttare a terra” i rivali come birilli.