Un clan radicato, organizzato e militarizzato che dispone di uomini, soldi e armi per preservare il controllo del territorio ed estendersi ben oltre i confini del quartiere Ponticelli: questo lo stato di salute attuale del clan De Micco, all’indomani dell’omicidio di Vincenzo Costanzo, avvenuto la scorsa notte a Napoli.
Una morte che ridisegna gli assetti e gli equilibri camorristici, dentro e fuori il rione Conocal, roccaforte del clan D’Amico al quale il 26enne era imparentato in quanto figlio di Nunzia Scarallo, sorella di Anna, moglie del boss Antonio D’Amico, fondatore dell’omonimo clan.
In seguito ai blitz che nell’arco di circa un anno hanno portato all’arresto di circa 150 soggetti ritenuti contigui ai D’Amico, Vincenzo Costanzo, seppure giovanissimo, in quanto nipote acquisito del boss Antonio D’Amico, era stato chiamato a ricoprire il ruolo di ras reggente del clan. Un ruolo quasi da subito espletato grazie al supporto di un gruppo di ragazzi provenienti dal rione San Rocco, fortino del clan De Micco, cresciuti a stretto contatto proprio con i coetanei imparentati con questi ultimi o fortemente affascinati dal carisma di Marco De Micco detto “Bodo”, boss fondatore del clan. Due giovani “bodiani” per dirla in gergo ponticellese che si sono però legati sentimentalmente alle figlie del boss Antonio D’Amico rendendolo nonno. Un vicolo di parentela che favorisce l’ingresso dei De Micco nel Conocal, quel fortino che pochi ani prima appariva ostile e inviolabile.
Il nuovo clan D’Amico prova infatti a rifondarsi in un momento assai critico, scaturito non solo dagli arresti, ma anche da una serie di delitti eccellenti, in primis, quello di Annunziata D’Amico, sorella di Antonio e Giuseppe, fondatori del clan, che ricopriva il ruolo di boss quando i sicari dei De Micco fecero irruzione nel Conocal, il suo rione, per ucciderla.
Una morte che ha destato scalpore, non solo perchè sfatò il falso mito della camorra che non uccide donne e bambini, ma anche per il complesso vortice di emozioni che ha generato in un’intera generazione di orfani di una mamma-camorra. La donna-boss, uccisa a 40 anni, era madre di cinque figli ed era amata e venerata come una madre da dozzine di ragazzini. L’ultimo era nato da pochi mesi, il primo era detenuto in carcere e proprio per andare a colloquio da lui commise la leggerezza rivelatasi fatale di abbandonare l’abitazione in via al chiaro di luna in cui si era rifugiata per sottrarsi al mirino dei rivali. “La passillona” – così era soprannominata Annunziata D’Amico – era consapevole di essere finita nella lista nera dei De Micco da quando si era rifiutata di versare una tangente sulle piazze di droga che gestiva nel Conocal, il suo rione, quello che ha difeso a discapito della vita, quello in cui ha trovato la morte per mano degli odiati rivali.
Un omicidio che consacrò l’ascesa dei De Micco e che ha sancito un punto di non ritorno nell’eterna faida di Ponticelli.
In barba ai suoi 19 anni, Costanzo e i suoi amici, danno il via alla seconda era dei D’Amico trascorrendo le loro giornate concentrandosi principalmente sulle attività illecite: spaccio, estorsioni, mezzucci, espedienti, vessazioni e soprusi indirizzati ai civili. Più che un clan, un branco di bulli avvezzi a fare la voce grossa con i deboli e a muoversi nell’ombra al cospetto dei camorristi veri. In un clima relativamente tranquillo, preservato dalla scelta di non intromettersi nelle violente controversie che scaturirono in seguito al primo, vero momento di défaillance dei De Micco che dal 2018 al 2020 li ha visti subire l’ascesa del cartello camorristico costituito dai clan alleati di Napoli est, quei giovani resistono ad una faida alla quale assistono da spettatori. Le vecchie famiglie d’onore capeggiate dai De Luca Bossa favorirono perfino l’insediamento degli Aprea di Barra nel Conocal, quale segno di gratitudine per il supporto fornito proprio nell’ambito della faida che riportò alla ribalta il clan del Lotto O.
In seguito alla scarcerazione del boss Marco De Micco, il vento è tornato a soffiare a favore dei Bodo, nemici giurati dei D’Amico purosangue, ma non di Costanzo, entrato in affari con loro, supportato dai suoi amici, nonché generi del boss “Tonino fraulella”, ma anche amici fraterni delle giovani leve del clan De Micco ai quali li lega un giuramento imprescindibile: “fino alla morte”.
Negli ultimi tempi, complici gli arresti eccellenti maturati nei mesi scorsi e gli omicidi pesantissimi sui quali si scorge a chiare lettere la firma dei De Micco, lo scenario è cambiato rapidamente. I giorni in cui le azioni dei De Luca Bossa, galvanizzati dalla scarcerazione di Christian Marfella sembravano destinati a minare l’egemonia dei De Micco sono ormai un lontano ricordo e il clan ormai appare sempre più concentrato a consolidare la manovra avviata contestualmente all’omicidio di Alessio Bossis che prevede l’eliminazione di tutti coloro che possono ostruire l’ascesa del clan, unitamente ad una serie di pratiche volte a consolidare e preservare un capillare controllo del territorio. Gli omicidi di Federico Vanacore e Bruno Solla lo confermano.
L’omicidio di Vincenzo Costanzo era nell’aria, lo spiegano bene gli abitanti del rione Conocal di Ponticelli. Negli ultimi tempi, nell’ormai ex fortino dei D’Amico si erano registrate diverse fibrillazioni che palesavano la nascita di frizioni interne al clan, complice i nuovi interessi subentrati e capaci di prendere il sopravvento. Con uno dei due generi del boss Antonio D’Amico legato da un vincolo di parentela diretto ad una delle figure più autorevoli del clan De Micco, il rione Conocal è diventato un obiettivo non solo appetibile, ma anche facilmente abbordabile per la cosca egemone a Ponticelli che così vede sventolare la sua bandiera sul fortino degli odiati rivali, senza grossi affanni.
All’indomani dell’omicidio di Vincenzo Costanzo, appare evidente che i De Micco di Ponticelli abbiano motivi ben più personali per festeggiare, rispetto alla vittoria del terzo scudetto del Napoli.