31 gennaio 2020, una data che ha cambiato la storia della Gran Bretagna. Annunciata come una catastrofe economica, la Brexit ha portato non pochi cambiamenti nel Regno Unito, con effetti negativi acuiti dalla sfortunata sovrapposizione dell’uscita dall’Europa con la pandemia da Covid 19.
E se la Borsa di Londra ha sofferto meno del previsto, almeno nei periodi immediatamente successivi all’annuncio, la vita dei cittadini britannici è nettamente cambiata da quando hanno scelto di staccarsi dall’UE. Il malcontento è dilagante, tanto che a marzo 2023 il 57% dei votanti si diceva disposto a sostenere il ritorno in Europa.
Particolarmente evidenti le ricadute della Brexit sull’economia, che risente della mancanza di lavoratori e beni di consumo. Troncare con l’UE significa infatti uscire dal mercato unico come lo conosciamo oggi, imponendo a chi viene dall’estero condizioni di accesso diverse, con regole più stringenti e visti periodici. Un aspetto che troverà un’ulteriore stretta con l’introduzione dell’ETA (Electronic Travel Authorisation), la nuova autorizzazione di viaggio in vigore dal 2024.
Le prospettive in questo senso non sono rosee. Un nuovo visto per l’accesso nel Regno Unito rischia infatti di complicare la situazione, che ha già portato a difficoltà notevoli in questi tre anni. Basti pensare che per il trasporto del carburante nelle stazioni di servizio è stato necessario impiegare risorse dell’esercito, perché le nuove condizioni imposte dal Governo per la circolazione di merci e persone ha ridotto in maniera drastica la presenza di camionisti abilitati a trasferire materiale infiammabile. Al punto che il mercato non era più in grado di rispondere alle esigenze operative del Paese.
Un altro esempio di come burocrazia e carenza di manodopera abbiano danneggiato il mercato nel Regno Unito riguarda il settore alimentare. In particolare la società Cranswick (noto produttore di carne di maiale) ha dovuto assumere 400 macellai provenienti dalle Filippine per far fronte alla carenza di personale, dovuta agli effetti della Brexit. E questa soluzione (seppur efficace) è costata alla società 4 milioni di sterline tra spese di viaggio, visti, oneri burocratici, eccetera.
A ciò si aggiunge un repentino incremento dell’inflazione. Se è vero che la situazione è recentemente degenerata in tutto il Vecchio Continente, il Regno Unito sta vivendo un periodo particolarmente difficile, perché la Banca Centrale d’Inghilterra si è attivata per contrastare l’aumento dei prezzi alla fine del 2021 e non ha mai interrotto le sue azioni in questo senso. Con il risultato che a gennaio 2023 l’inflazione nel Regno Unito era in crescita del 10,1% su base annua.
In conclusione, la Brexit non è stata la catastrofe finanziaria che la stampa mondiale aveva paventato, tuttavia i cittadini e le imprese britanniche stanno pagando a caro prezzo una scelta che oggi è sempre meno condivisa.