L’imprenditore palermitano Libero Grassi, il 10 gennaio 1991, fece pubblicare una lettera sulla prima pagina del Giornale di Sicilia nella quale si rivolge in prima persona ai suoi estorsori:
“Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al Geometra Anzalone e diremo no a tutti quelli come lui”.
Con queste parole l’imprenditore tessile diceva no al racket e agli emissari della mafia. Il giorno dopo davanti alla Sigma, la sua fabbrica di capi d’intimo a Palermo, c’erano carabinieri, cameramen di televisioni e giornalisti. L’imprenditore consegnò a polizia e carabinieri 4 chiavi dell´azienda chiedendo loro protezione. Non pagare il pizzo agli occhi dei mafiosi significava delegittimarli. E ancor di più ribadirlo pubblicamente. Per questo viene eliminato. Perché era diventato un “cattivo esempio”.
Libero Grassi fu ucciso 7 mesi dopo, il 29 agosto del 1991, in un clima segnato da solitudine, omertà e abbandono. Fu assassinato da Salvino Madonia per essersi opposto al pizzo e per aver denunciato con dovizia di particolari i propri estorsori. Venne anche lasciato solo, anzi criticato, dalle organizzazioni degli imprenditori. Il killer lo attese sotto casa e gli sparò mentre stava raggiungendo la sua auto per andare in fabbrica, senza la scorta personale che aveva rifiutato.