Sono trascorsi otto anni dall’omicidio di Flavio Salzano, 29enne figura di spicco del clan De Micco di Ponticelli, assassinato durante la latitanza. Un delitto tuttora avvolto nell’ombra.
La sera del 31 agosto del 2016, il suo cadavere fu rinvenuto, riverso in una Ford C Max, risultata rubata a giugno ad un cinese residente a San Giuseppe Vesuviano, parcheggiata in una strada isolata, alle porte del quartiere, in via Cupa San Michele, strada al confine tra Ponticelli e San Giorgio a Cremano. Il corpo crivellato da quattro colpi di pistola calibro 9 esplosi a bruciapelo alla testa, in una mano stringeva un cellulare usa e getta, utilizzato come torcia per illuminare il cruscotto e un piede ancora fuori dall’auto: questa la scena che si presenta agli inquirenti, una volta giunti sul posto, avvertiti da una residente che aveva udito gli spari.
Nessun segno di lotta, Salzano, probabilmente, non ha avuto nemmeno il tempo di capire che stava per morire. Il 29enne, originario di Volla, è stato ucciso da un colpo alla tempia, una alla nuca e due in faccia che di fatto lo hanno reso irriconoscibile, il cadavere è stato riconosciuto attraverso le impronte digitali. In tasca aveva una patente falsa utilizzata per gli spostamenti: Salzano era latitante dal mese di giugno dello stesso anno, da quando era sfuggito a un blitz che aveva fatto scattare le manette per circa cento persone.
La sua storia criminale è stata ricostruita principalmente partendo dalle fasi finali, ovvero dagli screzi con la donna-boss del rione Conocal Annunziata D’Amico per effetto del doppiogioco con i De Micco e le successive frizioni subentrate anche con questi ultimi, ma secondo quanto ricostruito da chi Flavio Salzano lo conosceva bene, fin da quanto ha iniziato a muovere i primi passi nel contesto malavitoso, dietro il suo omicidio si celerebbe molto più di quanto fin qui emerso.
Il suo nome viene accostato a quello di un altro spietato killer del clan De Micco con il quale avrebbe compiuto una serie di azioni delittuose finalizzate ad imporre l’egemonia dei cosiddetti “Bodo” contestualmente all’uscita di scena dei Sarno. Almeno tre i delitti che Salzano avrebbe compiuto per favorire l’ascesa del suo clan d’appartenenza, fin dai primi anni della faida. Un gruppo di fuoco di tutto rispetto, quello capeggiato da Salzano che avrebbe quindi esordito nelle vesti di soldato-killer del clan De Micco e composto non solo dai fratelli Marco e Salvatore De Micco, ma anche da Antonio Nocerino, Gaetano Carrano, Roberto Scala, Roberto Boccardi.
Salzano era in affari anche con i Mascitelli, perchè suo cognato Silvio Rigotti era in ottimi rapporti con Salvatore Daniele alias ‘o biondo, nipote e braccio destro di Bruno ‘o canotto e cognato di Mimmo Festa, legato invece al clan Contini. I Mascitelli erano particolarmente attivi nei traffici di cocaina e facevano arrivare fiumi di droga a Ponticelli in quegli anni, forte di quei vincoli di parentela che lo collocavano in una posizione privilegiata, Salzano era un passo avanti rispetto agli altri gregari e perfino rispetto alle figure apicali del clan De Micco. Complice anche la sua innata abilità negli affari che concorreva a fare la differenza soprattutto nella gestione deli business illeciti, la droga in primis, gli altri clan operanti nella città di Napoli manifestavano la volontà di parlare d’affari e di negoziare accordi solo con lui, un fatto che indispettì Luigi De Micco e Antonio De Martino che si vedevano sempre più messi all’angolo e offuscati dal carisma di Salzano. Antonio De Martino, in particolare, mal tollerava l’idea di essere letteralmente comandato a bacchetta da Salzano. Fino a prima del blitz e della sua successiva latitanza, Salzano era la figura più autorevole e rispettata del clan De Micco ed era lui a capeggiare il clan.
Quando iniziò la latitanza, Salzano era diventato già un personaggio scomodo agli occhi di altre due figure di spicco del clan al quale ufficialmente era affiliato e che rappresentava, almeno sulla carta, seppure vi fossero vistose evidenze del fatto che trattasse affari e negoziasse accordi anche per conto proprio. Un atteggiamento che concorreva ulteriormente a svilire lo spessore criminale delle due figure maggiormente interessate e intenzionate a liberarsi di quell’ombra che offuscava la loro ascesa nel panorama malavitoso locale. Del resto, Flavio Salzano proveniva da una buona famiglia, aveva studiato e questo gli conferiva una preparazione di cui gli altri affiliati erano carenti e che avrebbe potuto spalancargli le porte di scenari ben più facoltosi. Una figura trasversale che sapeva muoversi indistintamente nei bassifondi e tra le figure di spessore della camorra napoletana e che non avrebbe avuto alcun tipo di problema a contrattare con i colletti bianchi e con gli imprenditori.
Allora, come sovente è accaduto alla vigilia di altri omicidi eccellenti e di alcuni mancati agguati che portano la firma dei De Micco, nell’ambiente camorristico iniziò a diffondersi un rumors secondo il quale Salzano, sfiancato dalla latitanza, stesse accarezzando l’idea di passare dalla parte dello Stato avviando un percorso di collaborazione con la giustizia. Un’ipotesi supportata dal fatto che la sorella intratteneva una relazione amorosa con un carabiniere. Una chiacchiera probabilmente montata ad arte per camuffare il reale movente dell’omicidio: la gelosia che accecava Luigi De Micco e Antonio De Martino.
Secondo quanto emerso di recente, proprio perché fu invitato a quell’appuntamento con la morte da una delle due figure più influenti del clan al quale era affiliato e che aveva supportato prima da soldato e poi in veste di broker della camorra, mai avrebbe ipotizzato che potesse trattarsi di una trappola. Salzano si è presentato a quell’appuntamento a cuor leggero, non temendo affatto per la sua incolumità. Diversamente, non avrebbe mai abbandonato il bunker in cui si era rifugiato da quando era riuscito a sottrarsi all’arresto.
Secondo quanto riferito alla redazione del nostro giornale in occasione dell’ottavo anniversario dell’omicidio di Salzano, a uccidere il 29enne sarebbe stato Antonio De Martino, su mandato di Luigi De Micco. Lo stesso collaboratore Antonio Pipolo ha già confermato alla magistratura quest’ultima circostanza. Lo stesso Pipolo intraprese il percorso di collaborazione con la giustizia dopo essere riuscito a sopravvivere a un agguato ordito proprio dai De Micco, sua clan d’appartenenza. Anche a Pipolo fu tesa una trappola, come ha ribadito anche alla magistratura: “Volevano farmi fare la stessa fine di Flavio Salzano, mio amico, anche lui appartenente al clan De Micco, ucciso qualche anno fa sempre dai De Micco, in particolare, per come mi hanno riferito, in quanto io ero detenuto all‘epoca, da Luigi De Micco.”
Salzano fu attirato in quella trappola mortale con il pretesto di compiere un’azione importante per la quale era espressamente richiesta la sua presenza, ma secondo i ben informati il killer Antonio De Martino lo fece uscire allo scoperto per chiudere definitivamente la partita con quell’alleato diventato il peggior nemico di due esponenti del clan che scalpitavano per marcare la scena da leader. Di fatto, l’omicidio di Salzano decretò la fine di un’era camorristica e diede ufficialmente il via a una nuova epoca in casa De Micco, quella nata sotto le direttive di Luigi De Micco e Antonio De Martino, i due soggetti che hanno effettivamente beneficiato dell’uscita di scena di Salzano.