Una telefonata anonima avvisa il 113: “C’è un morto nei pressi di Cava Riconta, l’ex discarica di rifiuti a Giugliano”.
All’inizio non si capisce bene cosa è accaduto. La polizia trova subito il corpo di una donna. Le ricerche continuano e poco distante gli agenti scoprono un secondo cadavere: è un uomo. Vicino un taxi con tracce di sangue. Si tratta di Luigi Simeone, 50 anni, tassista e della moglie Immacolata Assisi anche lei di 50 anni, residenti a Melito, in provincia di Napoli.
I corpi senza vita di marito e moglie, entrambi incensurati, furono rinvenuti all’interno di una cava, a poca distanza da una discarica dismessa. La vettura dell’uomo era stata trovata nei pressi della scarpata, chiusa a chiave. Un ”caso-lampo” chiuso in tre giorni dagli inquirenti che individuano il movente del delitto in questioni finanziarie legate alla compravendita di un appartamento di proprietà delle vittime. La svolta alle indagini all’alba, quando gli agenti della squadra mobile della questura partenopea e del commissariato di Giugliano hanno concluso una notte di interrogatori. A mettere gli investigatori sulle tracce di Antonio Riano, il fioraio residente nel quartiere di Pianura a Napoli, è stata una macchia di sangue con un’impronta digitale trovata sullo sportello della vettura, riconducibile al dito indice e al palmo della mano intrisi di sangue, compatibile in più punti (17 per l’esattezza), lasciati sulla portiera anteriore destra.
Nella Fiat Multipla, poi, ai piedi del lato guida diversi fogli di giornali sporchi di sangue: come se chi avesse commesso il delitto si fosse poi ripulito. A supporto dell’accusa, la scoperta di altre tracce ematiche nel bagagliaio del taxi. Prove che non permisero all’avvocato dell’uomo di ottenere la scarcerazione. Per gli inquirenti, inoltre, la prova che il giovane ha avuto dei complici sarebbero nelle immagini delle telecamere della zona, dalle quali si vede il taxi sul quale viaggiavano le due vittime preceduto lungo la strada da un’altra macchina. Secondo gli investigatori Simeone e la moglie sarebbero stati ammazzati a bordo del taxi e successivamente i corpi sono stati abbandonati nella scarpata. A far scattare l’allarme è stata una prostituta che ha notato la vettura lasciata in sosta nel viottolo di campagna che da via Ripuaria porta alla cava dove sono stati successivamente rinvenuti i due cadaveri. Le operazioni di recupero delle salme sono state difficoltose ed hanno richiesto un lungo lavoro da parte dei vigili del fuoco. Condividi la selezione
Avrà luogo domani la prima udienza per l’atroce duplice omicidio della coppia di coniugi di Melito a carico dell’unico imputato: il 28enne Antonio Riano di Pianura.
Lunedì mattina, alle nove, in aula saranno ascoltati gli agenti della Scientifica del Commissariato di Giugliano. Un processo che si ripropone di riordinare i tanti tasselli di un complicato puzzle dove mancano, forse, i pezzi principali: come quello di chi ha materialmente premuto il grilletto della 7.65, arma mai ritrovata.
Alla base del delitto, come detto, il movente legato alla compravendita dell’appartamento di via Colonne a Melito. Questa sarebbe la causa scatenante del duplice omicidio. Nel decreto di fermo ci sono le dichiarazioni del notaio che smentisce categoricamente la veridicità dell’atto: è un documento con un numero di protocollo risalente ad oltre un decennio fa, periodo in cui la coppia uccisa acquisto per la prima volta l’appartamento. Ma gli inquirenti del Commissariato di polizia di Giugliano avevano sin da subito scandagliato la zona del delitto e controllato accuratamente l’appartamento delle vittime. Nulla fu tralasciato. Nel laghetto della cava di Masseria Monticelli fu cercata l’arma utilizzata nel delitto, mentre nell’appartamento furono sottoposti a sequestro documenti e altre impronte. Di certo, chi ha ucciso non era da solo: con lui c’erano almeno altre due persone. Intanto, sui social, sono nati’ due gruppi a favore della coppia uccisa e anche dell’imputato.
Due petizioni avviate via web tramite Facebook: una che chiede il carcere a vita per Riano e l’altro, invece, si batte a tutela dell’innocenza dell’uomo.
Da una parte i familiari e gli amici della coppia uccisa, dall’altra quelli del fioraio di Pianura.
Alla giustizia il compito di decidere verso quale piatto far propendere l’ago della bilancia.