Se state per addentare un pezzo di pizza napoletana beh, ritenetevi dei privilegiati. Sì, perché la pizza napoletana sta per diventare patrimonio dell’umanità.
Ad avanzare la proposta di inserimento della pizza napoletana nell’elenco dei beni tutelati dall’Unesco, Alfonso Pecoraro Scanio insieme all’Associazione Pizzaioli Napoletani e alla fondazione UniVerde, al fine di garantire pizze realizzate a regola d’arte con prodotti genuini e provenienti esclusivamente dall’agricoltura italiana e combattere anche l’agropirateria internazionale.
All’inizio di settembre l’ex ministro dell’Ambiente e dell’Agricoltura ha lanciato una petizione su Change.org, la più grande piattaforma di attivismo online. Ad oggi sono state raccolte migliaia di firme e numerose adesioni si sono avute anche tra i partecipanti al XIV Forum internazionale dell’Agricoltura organizzato dalla Coldiretti.
«È chiaro – ha sottolineato Roberto Moncalvo, Presidente della Coldiretti – che garantire l’origine nazionale degli ingredienti e le modalità di lavorazione significa difendere un pezzo della nostra storia, ma anche la sua distintività nei confronti della concorrenza sleale. La pizza napoletana dal 4 febbraio 2010 è stata ufficialmente riconosciuta come Specialità tradizionale garantita dall’Unione Europea, ma ora l’obiettivo è quello di arrivare ad un riconoscimento internazionale di fronte al moltiplicarsi di atti di pirateria alimentare e di appropriazione indebita dell’identità del prodotto. Il riconoscimento dell’Unesco – ha continuato Moncalvo – avrebbe un valore straordinario per l’Italia che è il Paese dove più radicata è la cultura alimentare e la pizza rappresenta un simbolo dell’identità nazionale».
Secondo Coldiretti in Italia quasi due pizze su tre sono ottenute da un mix di farina, pomodoro, mozzarelle e olio provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori. Troppo spesso viene servito un prodotto preparato – spiega la Coldiretti – con mozzarelle ottenute non dal latte, ma da semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, provenienti dall’est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo o addirittura olio di semi al posto dell’extravergine italiano e farina francese, tedesca o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale. In Italia sono stati importati nel 2013 – spiega la Coldiretti – ben 481 milioni di chili di olio di oliva e sansa, oltre 80 milioni di chili di cagliate per mozzarelle, 105 milioni di chili di concentrato di pomodoro dei quali 58 milioni dagli Usa e 29 milioni dalla Cina e 3,6 miliardi di chili di grano tenero con una tendenza all’aumento del 20 per cento nei primi due mesi del 2014. Un fiume di materia prima che – sostiene la Coldiretti – ha purtroppo compromesso notevolmente l’originalità tricolore del prodotto servito nelle 50mila pizzerie presenti in Italia che generano un fatturato stimato di 10 miliardi, ma non offrono alcuna garanzia al consumatore sulla provenienza degli ingredienti utilizzati.
Stop, quindi, alla pizza taroccata con “Pomarola” del Brasile, olio “Pompeian” del Maryland e “Zottarella” venduta in Germania.