Pregna di leggende, storie e miti, la città partenopea deve il suo fascino esoterico, alla presenza costante di fantasmi, spiriti, monacielli e streghe. Una volta si è scomodato anche il Diavolo che, ingannatore per natura, contribuì non poco alla costruzione del Palazzo Penne, convinto che di lì a poco, avrebbe potuto incassare il suo premio.
Partiamo dall’inizio: si tratta di un palazzo di costruzione rinascimentale, ubicato nel pieno centro storico della città di Napoli, nei pressi di Largo Banchi Nuovi. Venne costruito nel 1406, da un certo Sig. Antonio Penne ( che ritroveremo più avanti nel racconto), in prossimità del piccolo largo che rappresentava il primo ingresso alla città.
Nel corso dei secoli il palazzo passò a diverse famiglie nobili: prima quella dei Rocco, quindi quella dei Capano (principi di Pollica e baroni di Velia) iscritti al seggio del Nido che ne mantennero il possesso per circa 150 anni fino a quando Marco Antonio Capano lo perdette per debiti di gioco. Nel 1683 divenne sede dell’ordine clericale dei Somaschi. Nel XVIII secolo fu acquistato da un vulcanologo, Teodoro Monticelli, che vi ubicò la sua collezione.
Nel 2002 la Regione Campania acquistò l’edificio, allora privato in quanto sede di un bed and breakfast. Il palazzo fu quindi ceduto in comodato d’uso nel 2004 all’Università Orientale.
Il progetto prevedeva la realizzazione di un polo universitario d’eccellenza con laboratori, aule per seminari e convegni, servizi per studenti. I lavori per il recupero dell’edificio, tuttavia, non furono mai avviati. A nulla valsero allora gli appelli del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dell’Unesco per l’avvio dei lavori di recupero.
Il 25 novembre 2008 sono stati avviati solo i lavori di messa in sicurezza dell’edificio, per evitarne un ulteriore degrado.
Ma al di là della sua disastrata storia, fra incuria, degrado e poco rispetto per il passato, Palazzo Penne a Napoli è noto, come detto, con l’appellativo di “palazzo del diavolo”.
Antonio Penne, segretario e consigliere di Ladislao Il Magnanimo, re di Napoli (1377 – 1414), giunto a Napoli, s’innamorò di una stupenda ragazza, alla quale chiese ovviamente di sposarlo.
Avendo fin troppe offerte di matrimonio e dovendo già dare, il giorno dopo, una risposta ad altri corteggiatori, la fanciulla gli rispose che avrebbe acconsentito soltanto nel caso che le avesse costruito, in una sola notte, un palazzo quale pegno d’amore e dono di nozze.
Un’impresa del genere, nonostante la buona volontà del Penne, richiedeva un aiuto particolare, anzi, per meglio dire, sovrannaturale. Il giovane chiese infatti aiuto al diavolo in persona, che in cambio pretese la sua anima facendogli firmare inoltre un contratto col suo stesso sangue.
Penne, da esperto segretario quale era, riuscì comunque a farsi sottoscrivere una clausola che avrebbe rivelato a lavoro ultimato. Completato il palazzo, il giovane, come clausola, chiese al diavolo di contare una grossa quantità di grano chicco per chicco. Alla fine del conteggio, il diavolo constatò che cinque chicchi mancavano all’appello, senz’accorgersi che il Penne, cospargendoli di pece, aveva fatto in modo che finissero inconsapevolmente tra le sue unghie.
Letteralmente preso in giro, il diavolo si adirò, iniziando una dura discussione con il Penne che, a un certo punto, si fece il segno della croce, costringendo così il diavolo a sprofondare in un buco apertosi nel pavimento.
Quel buco, per molti nient’altro che un pozzo chiuso in malo modo, è ancora lì presente.