Bruno Petrone, 53 anni, originario di Secondigliano, è uno dei due rapinatori uccisi ad Ercolano lo scorso mercoledì: a suo carico risultano una tentata rapina a Casoria con una pistola a salve nel 2009 e nel 2011 un reato analogo, ma maturato in provincia di Bologna; scavando nel passato dell’uomo, riaffiorano altri precedenti penali che ne macchiano la fedina fin dai primi anni novanta.
Petrone era uno di quelli ai quali sulla carta d’identità, sotto la voce “professione” non viene scalfita la dicitura “ladro” solo perché non è un “mestiere ufficialmente riconosciuto” dalla legge italiana.
Il video divulgato da “Fanpage” in cui viene conferito libero sfogo a pensieri ed emozioni della famiglia di Bruno Petrone non ha soltanto scosso l’opinione pubblica.
I carabinieri, infatti, hanno acquisito il video in cui il fratello del rapinatore ucciso dal gioielliere, ha esplicitamente minacciato quest’ultimo, attualmente indagato per eccesso di legittima difesa.
Una vicenda che seguita a mantenere viva l’attenzione pubblica e mediatica e non solo per l’allarme criminalità che l’episodio ferocemente rilancia.
Le dichiarazioni dei familiari delle due vittime, infatti, hanno fin da subito scosso ed indispettito i cittadini, la gente comune, i lavoratori onesti, oltraggiati da quella forma mentis genitrice di quella condotta criminale dalla quale devono guardarsi, difendersi e tutelarsi.
“Pensava di stare al Far West” esordisce così il fratello di Bruno Petrone, nell’intervista, realizzata da Fanpage.it e trasmessa anche da Virus, per poi affermare quanto segue: “Siamo tanti fratelli, non si può mai sapere domani mattina cosa ci passa per la testa, uno di noi può andare al suo paese e lo uccidiamo proprio… c’amma fa!?… il sangue è sangue”.
Al momento i carabinieri e la Procura della Repubblica, dopo aver proceduto all’identificazione dell’uomo, stanno valutando le immagini, mentre il gioielliere ha deciso di lasciare la Campania per spostarsi in una località più sicura.
Dopo aver ascoltato quelle dichiarazioni, l’uomo ha paura, teme per la sua incolumità.
Il fratello di uno dei de rapinatori uccisi, inoltre, mette in discussione la dinamica dei fatti, affermando che se il gioielliere avesse voluto sparare solo per difendersi, poteva colpire alle gambe o alle ruote dello scooter in sella al quale Petrone e il suo complice, Luigi Tedeschi, avevano poco prima messo a segno la rapina ai danni dello stesso gioielliere, sottraendogli cinquemila euro sotto la minaccia di un’arma, risultata poi essere una pistola giocattolo priva del tappo rosso.
E non è tutto.
Dopo le accuse piovute contro il gioielliere, nelle ore immediatamente successive alla sparatoria, da parte dei familiari dei due rapinatori: “Hai ucciso per cinquemila euro”, la figlia e la moglie di Petrone rincarano la dose.
Nel corso della medesima videointervista, la prima invoca giustizia: “la deve pagare molto cara, non si toglie la vita così a due persone”. Questo il monito che la giovane, tra le lacrime, muove al commerciante di Ercolano.
Mentre la moglie di Petrone afferma senza indugi di essere a conoscenza del “mestiere” svolto dal marito… “Non c’è lavoro, pure noi dobbiamo mangiare”: la solita, puntuale e snervante tiritera propinata al cospetto di circostanze simili alla quale addiziona la confessione di non aver mai immaginato che esercitando la “professione del ladro”, suo marito potesse andare incontro alla morte: “Sapevo quello che faceva mio marito, però non meritava di essere ucciso. Meglio se l’avessero arrestato o sparato nelle gambe. Era costretto perché non c’è lavoro, soldi non ce n’erano.”
Tre testimonianze diversamente agghiaccianti e capaci di spalancare altrettante e differenti finestre su un’ideologia, su quell’ideologia che, da sempre, logora e svilisce il progresso sociale, culturale ed intellettuale di un popolo che con estrema disinvoltura si rivela capace di travisare quello che è giusto e quello che, invece, proprio non lo è.