per la coerenza che sempre ci ha contraddistinto è il momento di dare alcune spiegazioni su atteggiamenti che ai più possono risultare impopolari… E’ da tempo che portiamo avanti una battaglia!
L’idea che Napoli sia da sempre considerata solo la città di Pulcinella, della pizza, del mandolino e di “oj vita oj vita mia” non ci va giù…
Siamo i primi ad amare la nostra terra, non rinneghiamo le nostre origini e tradizioni, ma Napoli e i napoletani sono questo e soprattutto altro.
A te tifoso occasionale!
Che non hai mai compreso il nostro spirito, la nostra ideologia, chiediamo nei momenti di euforia, sii te stesso, le canzoni dell’antica tradizione lasciamole ai turisti come souvenir, rappresentiamo una Napoli moderna!
Canta con noi. Fai il tuo dovere di tifoso, non ti abbandonare a ridicole condotte folcloristiche. Non siamo contro le manifestazioni di gioia, ma esultiamo con un’unica voce!!! Incita i nostri colori, fai la sciarpata in sintonia con i cori della Curva, sostieni oltre il 90°, torna a casa fiero e senza voce…!”
Questo è quanto riportato su un volantino distribuito tra le gradinate della Curva B dello Stadio San Paolo di Napoli e che ben racconta quella ideologia che porta il nome di “mentalità” che sovente, a ridosso di episodi come quelli che hanno contraddistinto il match di Europa League disputatosi ieri tra Napoli e Legia Varsavia, irrompe sulla scena mediatica divenendo spunto di animati dibattiti.
“Spranghe e coltelli”, “Heineken e tafferugli”, “siamo noi le cattive maniere”, “sbirro infame”: questi e molti altri i dogmi alla base di quel meticoloso indottrinamento che tiene banco tra le gradinate delle curve, nel nome e nel segno del tifo sportivo e dell’amore per la squadra del cuore.
Secondo la mentalità ultras, non tutti i tifosi sono uguali: ci sono loro, onnipresenti, in casa, in trasferta, “al di là del risultato”, sempre al seguito della squadra e poi ci sono i cosiddetti “occasionali”, ovvero, coloro che sanno accaparrarsi un posto sugli spalti solo al cospetto di un big match o di una striscia di risultati utili consecutivi maturati dalla squadra.
Nel mezzo ci sono loro, i “tifosi medi”, i padri di famiglia, i semplici lavoratori, quelli che frequentano lo stadio con discreta incidenza e continuità e guardano ai signori delle curve con rispetto frammisto ad una velata stima.
Come se si sentissero ospiti in casa loro, in pratica, perché la curva è casa degli ultras e dispongono di quello spazio come meglio ritengono.
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“Guagliù, ata cantà, amma sostenè!”: questo il monito, perentorio e veemente, che riecheggia dagli altoparlanti e che sovente gli “occasionali” si vedono ringhiare contro, a muso duro.
Come spiegato dal sopracitato volantino, per “cantare” non si intende la performance corale che accompagna la fine della partita per festeggiare la vittoria intonando le celebri parole de “’O surdato ‘nnammurato”, bensì scandire a voce piena e convinta i cori volti a supportare i beniamini azzurri durante le fasi di gioco.
A spiegare la valenza e l’importanza dei cori è proprio un ultrà: “Cantare per incitare la squadra è fondamentale. Per fare in modo che tutto vada per il verso giusto e che il tifo a supporto della squadra sia impeccabile, tutto quello che occorre fare è seguire i capi. Loro, in piedi sulle ringhiere, dai megafoni o a voce, impartiscono gli ordini: intonano i cori da cantare, dicono quello che dobbiamo fare, come muoverci, quando battere le mani, quando saltare. Il loro ruolo e la loro guida nell’allestimento delle coreografie diventa più che fondamentale, perché basta anche un semplice errore per rovinare tutto.
Se un tifoso vuole guardare la partita e basta va nei distinti o in tribuna. La curva è la casa di noi ultras, noi andiamo allo stadio per sostenere. Quindi, in curva si va per sostenere.”