La giornata di martedì 12 dicembre è iniziata con un’operazione dei Carabinieri del comando provinciale di Napoli che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal locale gip a carico di 37 persone ritenute responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso e di associazione dedita allo spaccio di stupefacenti e di banconote false.
Si tratta di affiliati a presunti sodalizi criminali attivi nella zona di San Giorgio a Cremano e nelle zone limitrofe e riconducibili, secondo i carabinieri, alla famiglia Troia.
Nel corso delle indagini dirette e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, i militari dell’Arma hanno documentato che la gestione delle piazze di spaccio di cocaina, crack, marijuana ed hashish era stata motivo di scontro con altre organizzazioni criminali e aveva dato luogo a numerose azioni violente, tra le quali l’esplosione, ad aprile 2016, di una autobomba posizionata nei pressi dell’abitazione della presunta reggente del clan. Un episodio al quale fece eco un altro episodio inquietante: il posizionamento della testa di un maiale sul tetto di un’altra vettura.
Chi si opponeva all’organizzazione criminale doveva capire con la violenza chi era il più forte: questo il principio sul quale si basava l’attività del clan. Due donne-boss ai vertici dell’organizzazione che ha scatenato una faida di camorra nell’area vesuviana, per il controllo del territorio.
Una delle due donne era finita nel mirino dei rivali, tant’è vero che nell’aprile dello scorso anno era stata piazzata un’autobomba sotto la sua abitazione. Un guerra senza esclusione di colpi per la gestione delle piazze di spaccio e per il controllo dell’attività di smercio di banconote false.
Proprio da quell’autobomba, i carabinieri hanno ricostruito il quadro di un clan, legato alla famiglia Troia di San Giorgio a Cremano e attivo in tutta l’area vesuviana, smantellato nel blitz avvenuto questa mattina che ha portato all’arresto di 37 persone, tutti in carcere tranne uno ai domiciliari, accusate di associazione mafiosa.
Con il boss Ciro Troia, detto Gelsomino, in carcere, come i figli Francesco e Vincenzo, due donne erano subentrate nella gestione del business della droga. Si tratta di Immacolata Iattarelli, moglie del capoclan, e sua nuora Concetta Aprea, moglie di Vincenzo.
La principale piazza di spaccio era stata allestita nei pressi del municipio di San Giorgio, dove i carabinieri ne hanno documentato l’attività.