Ercolano (Napoli), 26 gennaio 1997 – Ciro Zirpoli, 16 anni, viene colpito mortalmente al petto da due killer in moto ad Ercolano.
Una condanna a morte decretata per un motivo ben preciso: Ciro è il figlio di un pentito della camorra. Freddato a colpi di pistola mentre rientrava a casa dopo aver trascorso il pomeriggio al bar con alcuni amici. I killer gli sono andati incontro con un sorriso: “Ciao Ciro”. Hanno aspettato che il ragazzo si allontanasse, poi gli hanno sparato.
Ciro, 16enne, è figlio di Leonardo Zirpoli, uno dei più importanti pentiti di camorra e nipote di Salvatore Zirpoli, impegnato anche lui da tempo a rivelare ai magistrati napoletani gli interessi clandestini del clan Ascione di Ercolano.
Zirpoli viene soccorso, agonizzante, da alcuni parenti in traversa Rigiolaro, ma muore poco dopo l’arrivo in ospedale.
Poco prima, nella vicina via Pugliano, a pochi passi dal bar dove Zirpoli aveva trascorso la domenica, c’ era stata un’altra sparatoria nella quale era rimasta ferita una persona.
La famiglia Zirpoli è da sempre attiva in materia di spaccio di stupefacenti, legata a doppio filo con il potente clan camorristico di Raffaele Ascione, finito in manette nell’aprile del 1996, nell’ambito dell’operazione Nemesi che fece scattare le manette per 200 persone, compreso il boss reggente del clan. Un’operazione che decapita il clan Ascione e che sancisce la svolta per Leonardo Zirpoli, braccio destro del boss e padre di Ciro. Zirpoli, in carcere, decide di collaborare con la giustizia.
Con i fratelli Salvatore e Gennaro ed altri affiliati, aiuta gli inquirenti a far luce sugli affari illeciti di Ercolano.
Per questa ragione vengono attuate una serie di vendette trasversali, attraverso una serie di attentati contro i parenti del collaboratore. La prima a pagare per le dichiarazioni di Zirpoli è la sua sorellastra, Giuseppina Brisciano, colpita al petto con un colpo di pistola. La donna si salva. Appena una settimana dopo una bomba scoppia davanti al ristorante di Anna Imperato, convivente del pentito.
Le indagini dei carabinieri fanno finire in carcere la moglie e la cognata del boss Ascione, accusate di minacciare i pentiti. Ma intanto Zirpoli fa marcia indietro, ritratta le sue dichiarazioni e preferisce essere bollato come “collaboratore inaffidabile”. La vicenda si complica.
Nell’ inchiesta finisce l’ avvocato difensore di Zirpoli, Vincenzo Strazzullo. Il penalista viene accusato – complice del clan Ascione – di aver usato “metodi pesanti” per convincere Zirpoli a tacere. Un secondo collaboratore di giustizia accusa il legale di averlo sequestrato per convincerlo a ritrattare. Ma il difensore, che all’epoca viene sospeso dalla professione, nega ogni addebito, fino a tentare il suicidio “perché vittima di errori giudiziari”.
Intanto, le indagini proseguono e Zirpoli resta in carcere perché, secondo gli inquirenti, non può godere del trattamento riservato ai pentiti. Il figlio sedicenne Ciro, invece, avrebbe continuato a mantenere i rapporti con il clan Ascione, spacciando droga sul territorio dei comuni vesuviani. Elemento, quest’ ultimo, che, in prima battuta, non esclude dalle indagini la possibilità che Ciro Zirpoli sia stato ucciso per uno “sgarro” negli ambienti della malavita locale.
Le loro rivelazioni dei collaboratori di giustizia della cosca ercolanese hanno permesso alla Procura della Repubblica di Napoli di avviare inchieste nei confronti dei clan Cozzolino, Vollaro ed Abbate che operano tra il territorio di San Giorgio a Cremano e Torre del Greco. Con il proseguire delle indagini le dichiarazioni dei pentiti hanno consentito di risalire ai rapporti di connivenza della camorra con le forze dell’ordine: 19 poliziotti arrestati, alti dirigenti indagati.
I messaggi che la camorra invia ai collaboratori di giustizia sono inequivocabili. Pochi giorni dopo l’assassinio di Ciro, la tomba del 16enne è profanata. Lumi e candele vengono accatastati in un angolo e dati alle fiamme, la lastra di marmo che copre la bara e il crocefisso sono sradicati dal terreno, fiori e piante, che onorano la memoria di Ciro, vengono fatti a pezzi.