Esattamente un anno fa, il 9 marzo del 2020, nel corso della prima di una lunga serie di conferenze stampa che diventeranno uno degli appuntamenti più attesi e temuti dagli italiani nel corso dell’emergenza covid, il premier Giuseppe Conte annuncia il lockdown nazionale, lanciando il leitmotiv “io resto a casa”.
“Non ci sarà più una zona rossa, non ci saranno più zona uno e zona due, ma un’Italia zona protetta. Saranno da evitare gli spostamenti salvo tre ragioni: comprovate questioni di lavoro, casi di necessità e motivi di salute”. Con queste parole il premier Conte presentò agli italiani il decreto che ha scritto una pagina cruciale della storia del nostro Paese.
Iniziano così i 50 giorni più difficili della storia del nostro Paese e che hanno fortemente segnato l’economia nazionale: dopo il lockdown, infatti, moltissime attività ed imprese non hanno più riaperto.
Il Dpcm del 9 marzo 2020 dispone restrizioni per l’intero Paese, che diventa un’unica zona rossa. L’11 marzo è il giorno del lockdown, un termine che oggi è di uso comune e noto a tutti che venne spiegato agli italiani proprio in quella circostanza da Conte: non si può uscire se non con una “autocertificazione”, per motivi di lavoro, di salute o per fare la spesa. Chiuse le scuole, prende il via la didattica a distanza, stop agli spostamenti, vengono chiusi bar, ristoranti negozi, palestre, piscine, cinema, teatri, musei, discoteche. Annullati i funerali, le manifestazioni sportive. Chi non ha l’obbligo di recarsi sul posto di lavoro inizia ad adottare lo smart working. Insomma, il modo di vivere delle persone cambia drasticamente. Le chiusure annunciate da Conte avrebbero dovuto estendersi per un periodo limitato, fino al 3 aprile, ma con il trascorrere dei giorni abbiamo imparato a capire che è il virus a dettare i tempi e così si è giunti a maggio con aperture graduali che lasciavano auspicare in un progressivo ritorno alla normalità, ma così non è stato.
La ressa ai supermercati che vengono letteralmente presi d’assalto dagli italiani che prendono eccessivamente alla lettera il concetto di “chiusura totale”, pensando che anche gli alimentari e i supermercati avrebbero rispettato la chiusura.
Scene apocalittiche, centinaia di persone in coda, rigorosamente distanziate e disposte a trascorrere intere giornate ad aspettare il proprio turno pur di fare la spesa.
Il 22 marzo un nuovo Dpcm fissa nuovi limiti: vengono chiuse anche le attività produttive non essenziali o strategiche. Restano aperti solo alimentari, farmacie, negozi di generi di prima necessità e i servizi essenziali. Nessuno può spostarsi da un Comune all’altro se non per comprovate necessità. Tra metà e fine marzo è il momento più duro, con la sfilata dei carri dell’esercito carichi di bare a Bergamo, le vittime sono quasi mille al giorno.
A distanza di un anno, lo spettro del lockdown torna a troneggiare sull’Italia. “Salvaguardare con ogni mezzo la vita degli italiani, permettere al più presto un ritorno alla normalità”, ha detto il premier Mario Draghi. “Ogni vita conta” ha sottolineato e quindi non bisogna “perdere un attimo” né “lasciare nulla di intentato”. È necessario “compiere scelte meditate, ma rapide” perché la situazione resta critica.